Questo affilatissimo ritratto d’artista post-MeToo ha senz’altro il merito di aver forgiato un valido corollario della “pistola di Čechov” (l’espediente narrativo per cui se c’è un’arma nel primo atto, dovrà sparare nel terzo) che si potrebbe battezzare “il discorso di Gopnik”. All’inizio del film, infatti, Lydia Tár, una direttrice d’orchestra all’apice del suo successo, è presentata dal giornalista del New Yorker Adam Gopnik (che interpreta se stesso) con un discorso così celebrativo che la parabola della protagonista può essere solo discendente. Ma è anche vero che il film a livello narrativo è abbastanza debole. Funziona più come ritratto psicologico di una maniaca del controllo la cui vita comincia a deragliare. Tár è anche molto ben ancorato nella nostra epoca. Affronta in modo giocoso e provocatorio tantissimi argomenti che animano la nostra esistenza. Almeno quella sui social network. E forse è stato pensato per diventare virale, come la sua protagonista.
Ben Croll, The Wrap
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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 91. Compra questo numero | Abbonati