L’ industria europea ha prosperato per decenni grazie alla fornitura di gas russo a buon mercato. Ma da quando ha invaso l’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin ha trasformato le enormi riserve energetiche del suo paese in un’arma per indebolire il sostegno a Kiev. A settembre ha chiuso i rubinetti del Nord Stream, il più grande gasdotto che arriva in Europa. La decisione ha spinto il continente sull’orlo della recessione e minaccia di danneggiare seriamente le aziende manifatturiere, che costituiscono una parte rilevante dell’economia europea.
Sono molte le attività danneggiate dalla crisi energetica, dal settore dell’acciaio e dell’alluminio ai produttori di automobili, vetro, ceramica, zucchero e carta igienica. In alcuni settori ad alto consumo energetico come quello metallurgico, secondo gli addetti ai lavori le fabbriche che chiudono potrebbero non riaprire più, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Resta da capire se queste difficoltà sono temporanee o se invece segnano l’inizio di una nuova era di deindustrializzazione in Europa. L’Unione europea sta cercando in tutto il mondo forniture di gas alternative, ma potrebbe non avere più quel combustibile a buon mercato che l’ha aiutata a reggere la concorrenza con gli Stati Uniti, compensando gli alti costi della manodopera, le rigide leggi sul mercato del lavoro e una normativa ambientale particolarmente severa.
A Žiar nad Hronom, in Slovacchia, c’è la Slovalco, una fabbrica di alluminio che rifornisce i produttori di automobili di tutto il continente. È una delle aziende colpite dalla volatilità dei prezzi dell’elettricità. Per anni è stata di gran lunga la principale acquirente d’energia della Slovacchia, consumando il 9 per cento circa dell’elettricità complessiva del paese, prodotta in gran parte da centrali nucleari. Nel 2021, prima che i prezzi dell’energia cominciassero a salire, la Slovalco pagava circa 45 euro per un megawattora. Nel 2022 paga 75 euro grazie a un accordo siglato l’anno scorso, ma alla fine di agosto i prezzi in Europa hanno toccato i mille euro a megawattora. La Slovalco non ha rinnovato il suo contratto per la fornitura energetica del 2023, che con i prezzi attuali sarebbe costato 2,5 miliardi di euro. Milan Veselý, il direttore dell’impianto, sta riducendo la produzione e si appresta a licenziare trecento dei 450 dipendenti.
Capacità di stoccaggio
Le riduzioni della produzione e le chiusure delle fabbriche hanno fatto risparmiare combustibile all’Europa, che sta facendo di tutto per ridurre la domanda e trovare forniture alternative a quelle russe. Questo ha permesso all’Unione europea di accumulare una quantità di gas sufficiente a colmare l’80 per cento delle sue capacità di stoccaggio, forse sufficiente a superare l’inverno. Per molti governi rallentare la produzione delle fabbriche o chiuderle del tutto è preferibile all’idea di tagliare l’energia a scuole e ospedali durante l’inverno. Tuttavia i costi sono enormi. Le aziende nei settori più energivori avvertono che senza aiuti pubblici falliranno. Filiere complesse come quelle dei settori automobilistico e agroalimentare si stanno bloccando, facendo aumentare i prezzi proprio mentre il caos della pandemia mostra segni di miglioramento.
Alla fine di agosto il colosso norvegese dei fertilizzanti Yara International ha tagliato del 65 per cento la produzione di ammoniaca, una materia prima indispensabile per i suoi impianti europei. “Oggi prendiamo in considerazione cose a cui non avremmo mai osato pensare appena un anno fa”, ha detto Michael Schlaug, direttore generale della fabbrica della Yara a Sluiskil, nei Paesi Bassi. L’impianto ormai riceve forniture dagli Stati Uniti, da Trinidad e da altri paesi per rimpiazzare prodotti che prima realizzava in autonomia.
Una riduzione della capacità industriale dell’Europa renderebbe ancora più profonda la dipendenza del continente da materiali e pezzi di ricambio prodotti all’esterno. In prima linea nella crisi c’è il settore metallurgico, che richiede quantità significative di energia. La ArcelorMittal, una delle più grandi acciaierie del mondo, chiuderà un altoforno a Brema e un impianto ad Amburgo, dove si produce ferro per fabbricare acciaio grezzo. Sono stati colpiti anche i produttori di automobili. La Volkswagen ha immagazzinato prodotti di vetro come finestrini e parabrezza, nel timore che la carenza di gas possa colpire i produttori di vetro.
Nel settore alimentare dipendono dal gas soprattutto gli zuccherifici. Se dovessero fermarsi, gran parte del raccolto di barbabietola probabilmente marcirebbe e i prezzi aumenterebbero ulteriormente. In Germania le aziende del settore si stanno affrettando a cercare forniture energetiche alternative. Secondo lo zuccherificio Südzucker, però, ci vogliono nuove strutture logistiche e di stoccaggio.
Veselý, il dirigente della Slovalco, ha venduto l’elettricità che l’azienda aveva comprato per il resto dell’anno, guadagnando 160 milioni di euro. Intende usare questi soldi per pagare le tasse e, in futuro, per riavviare la produzione. Gli operatori si preparano a scollegare gran parte degli impianti entro la fine dell’anno. Per far ripartire la fabbrica bisognerà sostituire i collegamenti elettrici, un’operazione che, secondo Veselý, richiederà un anno di lavoro e costerà fino a 90 milioni di euro.
“Sono tutti preoccupati”, dice Tomáš Chrien, che lavora alla Slovalco dal 1993. Marián Hárezník spiega che questa fabbrica offre un buon salario. “Nessuno si sarebbe mai aspettato che saremmo finiti in una situazione simile”, aggiunge. Per il funzionario comunale Martin Baláž la preoccupazione principale sono i 2.500 posti di lavoro a rischio nelle aziende dell’indotto. Alla Remeslo Strojal, un’azienda che si occupa della manutenzione degli impianti alla Slovalco, i dipendenti stanno già cercando un altro lavoro.
Branislav Strýček, dirigente della Slovenské Elektrárne, che fornisce energia alla Slovalco, teme che molte altre aziende chiuderanno perché, secondo le sue stime, più della metà non ha l’energia per il 2023. “Questi prezzi sono folli”, dice. Poi aggiunge di trovarsi nell’assurda posizione di dover gestire un impianto e allo stesso tempo di dover chiedere al governo e all’Unione europea provvedimenti per limitare i prezzi. “Se i clienti non sopravvivranno, non ci sarà più nessuno a cui consegnare il prodotto”. ◆ gim
Gli autori di quest’articolo sono Joe Wallace, David Uberti, Georgi Kantchev e William Boston.
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Questo articolo è uscito sul numero 1478 di Internazionale, a pagina 111. Compra questo numero | Abbonati