Prima di sparire nel nulla, il 17 agosto 2021, Shahid Bashir Sheikh aiutava il padre a vendere scarpe a Srinagar, la più grande città del Kashmir indiano.
Già a 17 anni lavorava a Batamaloo, un’animata zona commerciale del centro: ogni mattina metteva in mostra la merce su un carretto e aspettava l’arrivo dei clienti. Suo padre, Bashir Ahmad Sheikh, 49 anni, che da mesi soffriva di problemi alla schiena, lo raggiungeva la sera. “Per aiutarlo a far crescere gli affari gli ho procurato scorte per un valore di 300mila rupie”, racconta.
Quella mattina di agosto, Shahid è uscito di casa per andare al lavoro ma non è più tornato. Il 15 ottobre è rimasto ucciso in una sparatoria con le forze di sicurezza nel distretto di Pulwama, nel Kashmir del sud. Secondo la polizia era ricercato per l’omicidio di Mihammad Shafi Dar, funzionario del dipartimento per lo sviluppo dell’energia ucciso la sera del 2 ottobre davanti alla sua casa di Batamaloo.
La morte di Dar era il secondo omicidio della giornata. Qualche ora prima, presunti ribelli avevano sparato a Majid Ahmad Gojri, un criminale locale che viveva nella zona di Karan Nagar, un quartiere centrale di Srinagar.
Bashir Sheikh, anche lui residente nel centro di Srinagar, non crede che il figlio fosse coinvolto nell’attentato. Ma ammette con amarezza che il ragazzo si era unito ai militanti. “I comandanti della lotta armata nel Kashmir avrebbero dovuto chiedere il mio consenso prima di fargli il lavaggio del cervello”, dice. “Avrebbero dovuto informarmi, invece se ne sono infischiati. Io lo avrei supplicato di tornare a casa”. È colpa del Pakistan, sostiene, che “adesca i giovani” e li spinge a combattere. “Non era un ragazzo come gli altri, era una benedizione per me”.
Il palcoscenico urbano
La storia di Shahid riflette una tendenza sempre più diffusa nella valle. Se nell’ultimo decennio i quattro distretti meridionali del Kashmir si erano affermati come il cuore della lotta armata locale, da un anno a questa parte il baricentro si è spostato a nord, nella città di Srinagar.
Nei primi otto mesi del 2021, la città è stata al primo posto per numero di attentati. E la tendenza è stata confermata anche quest’anno: dei dodici poliziotti uccisi in Kashmir fino all’agosto 2022, cinque sono morti a Srinagar. In tutta la capitale si avverte la tensione. Le misure di sicurezza sono state rafforzate e nel marzo 2021 la polizia ha pubblicato i nomi di otto ribelli attivi a Srinagar.
Secondo un alto funzionario della polizia che vuole rimanere anonimo, i gruppi armati vogliono far sentire la loro presenza in città: “Qualunque violenza compiuta a Srinagar è destinata a diventare una notizia di portata nazionale”.
Gli omicidi a Srinagar sono aumentati dopo il 5 agosto 2019, quando New Delhi ha tolto al Jammu e Kashmir lo statuto speciale e l’autonomia formale riconosciuti dalla costituzione. È stato cancellato anche l’articolo che garantiva diritti e privilegi particolari alle persone che erano “residenti permanenti” dello stato. Tra arresti di massa e chiusure forzate, il governo di Narendra Modi, sostenuto dal partito nazionalista indù Bharatiya janata party, ha sempre sostenuto che in Kashmir la situazione fosse normale, perché non c’erano state proteste diffuse.
Ma gli emendamenti alla costituzione hanno generato la paura di un cambiamento demografico della regione, l’unica a maggioranza musulmana in India. Senza statuto speciale, chi vive fuori dal Kashmir può stabilirsi nel distretto senza alcuna limitazione.
I gruppi militanti come il Fronte di resistenza, nato ufficialmente dopo l’agosto 2019, cavalcano questi timori, e prendono di mira lavoratori migranti e minoranze religiose.
Compiere attacchi a sorpresa in città è più semplice per i ribelli, spiega il funzionario di polizia: “È facile dileguarsi tra la folla di un mercato dopo aver lanciato una granata o sparato a qualcuno”.
Uno degli attentati che ha fatto più clamore è stato quello al pandit Makhan Lal Bindroo, un erudito della casta dei brahmani, conosciuto per non aver lasciato la valle nemmeno negli anni novanta, quando gran parte della comunità indù fuggiva a causa degli attacchi dei gruppi indipendentisti. Nell’ottobre 2021 Bindroo è stato ucciso nella sua farmacia, vicino all’affollato parco Iqbal. Secondo la polizia, tra gli autori dell’attentato c’era il diciannovenne Mehran Yaseen Shalla, che si era unito al Fronte di resistenza.
Il super ricercato
Quando si è arruolato, Shalla, uno studente, lavorava da poco come fattorino. Il 18 maggio 2021, finite le consegne, è rientrato nella sua casa nel quartiere di Jamlatta, ed è andato subito a dormire. “Improvvisamente è sceso di corsa al piano di sotto e ha detto alla madre che sarebbe tornato presto”, ricorda un parente che preferisce restare anonimo. Non vedendolo rientrare, la famiglia ha cominciato a telefonargli freneticamente, ma nessuno rispondeva. “Più tardi, quando siamo andati nella sua stanza, abbiamo scoperto che aveva lasciato il cellulare a casa”.
Al mattino, i familiari hanno denunciato la scomparsa alla polizia e qualche giorno dopo sui social media è diventato virale un file audio con quella che sembrava la voce di Shalla. Recitava la poesia Hum phool bhi hai, talwar bhi hai, noi siamo il fiore e la spada: era una chiamata alle armi. Poi la voce pronunciava una preghiera e infine annunciava di essersi arruolato nel Fronte di resistenza, chiedendo alla famiglia di non cercarlo.
Per i genitori di Shalla la sua decisione si deve ai ripetuti soprusi della polizia. “Aveva solo 14 anni quando l’hanno preso e tenuto sottochiave per otto giorni con l’accusa di aver lanciato sassi”, dice il parente. Due anni dopo era stato arrestato una seconda volta con la stessa accusa ed era rimasto in carcere per venticinque giorni.
Anche prima di scomparire Shalla era stato convocato dalla polizia. “Ma non si era presentato, sapeva che lo avrebbero sbattuto dentro”, dice il parente. “Era ancora minorenne. Avrebbero dovuto essere più indulgenti con lui”.
In pochi mesi, Shalla, sospettato di numerosi omicidi, è diventato l’obiettivo di una vera e propria caccia all’uomo. Quando è stato ucciso, sec0ndo la polizia, era già uno dei massimi comandanti del Fronte di resistenza.
Per anni lanciare pietre, una forma di protesta pubblica comune nel Kashmir, è stato considerato l’anticamera della lotta armata, ma la storia di Shalla sembra indicare il contrario. Secondo fonti interne alla polizia, proprio la dura campagna per reprimere le sassaiole in città potrebbe aver spinto molti giovani arrabbiati a unirsi ai ribelli.
Sparare nell’oscurità
L’annuncio di Shalla, però, potrebbe essere un’eccezione. Sempre più spesso infatti i ribelli preferiscono non fare annunci. È un fenomeno in controtendenza rispetto allo scorso decennio, quando la lotta armata veniva promossa apertamente e Burhan Wani, comandante del gruppo islamista Hizbul mujahideen, era un nome conosciuto da tutti.
Molti autori degli attentati compiuti dopo l’agosto 2019 non avevano mai partecipato prima alla lotta armata. È una ribellione portata avanti da ragazzi che frequentano le superiori o l’università, e spesso sono minorenni. Le agenzie di sicurezza li chiamano “miliziani ibridi”, perché non vivono in clandestinità dopo essersi uniti ai ribelli: commettono azioni violente e poi tornano alla loro vita quotidiana.
“Sono addestrati online, informati su dove trovare le armi e come restituirle, e poi tornano alla vita di tutti i giorni,” spiega l’alto funzionario di polizia di Srinagar. Per la maggior parte dei bersagli sono obiettivi semplici: poliziotti fuori servizio, civili e componenti del governo locale; spesso assassini e vittime si conoscono. Come nel caso di Parvaiz Ahmad Dar, poliziotto ucciso a giugno nel quartiere periferico di Nowgam, mentre tornava dalle preghiere della sera. “È stato un vicino a dare informazioni ai miliziani sui suoi orari”.
Alcuni adolescenti aiutano i ribelli negli spostamenti. In un caso, un quindicenne, attualmente detenuto in un istituto minorile, ha accompagnato in bici due sicari, e dopo l’omicidio li ha condotti a un nascondiglio sicuro.
Sono cambiate anche le armi. Fucili e kalashnikov sono stati sostituiti da armi di piccolo calibro contrabbandate attraverso la frontiera pachistana da droni e distribuite da una rete di collaboratori. A maggio, la polizia di Srinagar ha arrestato due “miliziani ibridi” trovandoli con quindici pistole, trenta caricatori, trecento pallottole e un silenziatore. “Ma si trattava della terza spedizione, avevano già consegnato 41 pistole al loro gruppo”.
Cambio generazionale
Un tempo le famiglie dei ribelli riconoscevano con orgoglio che i loro figli avevano imbracciato le armi, ma ora la maggioranza reagisce con sgomento.
I genitori di Shahid sono devastati dalla sua scomparsa. “La sua morte ci ha ridotto in cenere,” singhiozza sua madre, Meema Bashir. Senza Shahid, è il fratello minore che si occupa del banco di scarpe: la famiglia vive in una baracca in affitto e non ha abbastanza soldi per la dote delle due figlie.
Sheikh non riesce a capacitarsi di come un figlio così affettuoso, che aveva promesso di prendersi cura di loro, abbia potuto abbandonarli: “Stava seduto accanto a me fino a sera, parlavamo. Era tutto per me. Piango ogni volta che sento di un ragazzo ucciso in uno scontro a fuoco. Vedo il mio Shahid in tutti loro”. ◆gc
◆ Dopo la partizione di India e Pakistan nel 1947, il Kashmir è stato diviso tra i due stati, ma quella risoluzione causa ancora tensioni. Sia New Delhi sia Islamabad rivendicano la sovranità sull’intero territorio, e la contesa ha causato numerosi conflitti armati. Anche con la Cina, che occupa la parte orientale. Fino al 2019, la costituzione indiana garantiva una parziale autonomia al Jammu e Kashmir, unico stato a maggioranza musulmana. Ma quell’anno alcuni emendamenti alla costituzione hanno trasformato lo stato in un territorio composto dal Jammu e Kashmir e dal Ladakh, e hanno tolto alle autorità locali la possibilità di legiferare su temi come i diritti di residenza e di proprietà.
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Questo articolo è uscito sul numero 1479 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati