Quella in Etiopia sta diventando una “guerra mondiale africana” e potrebbe aver fatto migliaia di morti solo negli ultimi mesi. Morti di cui non si parla perché gli scontri dei ribelli tigrini con una coalizione di milizie ed eserciti alleati del governo di Addis Abeba avvengono in un blackout informativo. Il conflitto potrebbe coinvolgere ormai centinaia di migliaia di combattenti e ognuno dei due schieramenti sostiene che l’altro usi la tattica dell’“onda umana” (cioè attacchi condotti da ampie formazioni di fanteria).

Soldati di entrambe le parti dicono di aver assistito a una violenza che non avevano mai visto negli ultimi due anni di scontri. “I cadaveri dei miei amici erano sparsi ovunque”, racconta un combattente tigrino. “Quasi tutti erano morti. Molti feriti. Ormai sono abituato a soffrire la fame. Non riesco a togliermi di mente le immagini dei cadaveri, mi tengono sveglio di notte”. Il soldato ha pagato l’equivalente di 570 euro a un trafficante di esseri umani per scappare dalla guerra.

Dalla fine di agosto, quand’è stata infranta una fragile tregua che durava da cinque mesi, le forze del governo etiope, i soldati inviati dall’Eritrea e le milizie su base etnica loro alleate si scontrano su quattro diversi fronti con i combattenti leali al Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf). Di questo conflitto, però, non si hanno notizie perché Addis Abeba ha tagliato le linee telefoniche e i collegamenti a internet, bloccando l’accesso ai giornalisti. Per comunicare con il mondo esterno si usano i telefoni satellitari.

L’analista statunitense Cameron Hudson, ex responsabile delle questioni africane al consiglio per la sicurezza nazionale di Washington, osserva: “Dopo quello che è successo 25 anni fa nella Repubblica Democratica del Congo, con le truppe di sei paesi impegnate in un conflitto che ha fatto più di cinque milioni di morti, quella in Etiopia sta diventando la nuova ‘guerra mondiale africana’”.

Un soldato etiope che all’inizio di settembre ha combattuto sul fronte occidentale racconta di aver assistito a “tre ore di uccisioni”. “La mia squadra prendeva di mira i loro soldati armati di dishka”, dice riferendosi alla mitragliatrice Dšk, d’epoca sovietica. Dopo un bombardamento d’artiglieria, “erano ridotti a un ammasso di membra. Ma non c’era niente da festeggiare. Ti senti solo sollevato perché non è capitato a te. La guerra è anche questo”.

Mobilitazione generale

La guerra civile è scoppiata alla fine del 2020 nel nord dell’Etiopia, il secondo paese più popoloso del continente. All’origine del conflitto c’è stata la decisione del primo ministro Abiy Ahmed di inviare l’esercito nel Tigrai contro il governo locale ribelle (i suoi combattenti avevano attaccato una base dell’esercito federale). I soldati etiopi, quelli eritrei e le milizie su base etnica si sono uniti tra loro per schiacciare con un movimento a tenaglia le forze tigrine, che erano ben armate. In un primo momento sembrava che i ribelli fossero stati annientati. Verso la metà del 2021, però, hanno lasciato le montagne e riconquistato gran parte della regione.

Dopo che i soldati eritrei si sono ritirati, i tigrini sono avanzati fino alla capitale Addis Abeba, che sembrava dovesse cadere nelle loro mani. Ma l’arrivo dei droni armati Bayraktar dalla Turchia e dagli Emirati Arabi Uniti ha contribuito a fermare l’offensiva. Un cessate il fuoco ha dato un po’ di respiro a milioni di persone in gravi difficoltà e il conflitto è sparito dall’attenzione globale.

Ora, però, il Tigrai è di nuovo in piena guerra. L’Eritrea, uno stato totalitario con sei milioni di abitanti che un tempo faceva parte dell’Etiopia, ha lanciato una mobilitazione generale richiamando al fronte anche i cinquantenni. Secondo fonti interne alle Forze di difesa tigrine (Tdf, di cui fa parte anche il Tplf) i battaglioni eritrei possono contare su brigate meccanizzate e sono ben armati, mentre i loro avversari hanno solo dei kalashnikov.

“Questa guerra è stata combattuta soprattutto con la fanteria, in particolare nel Tigrai assediato, dove si dice che negli ultimi diciotto mesi sia stata formata una forza con centinaia di migliaia di combattenti”, spiega William Davison, esperto di Etiopia dell’International crisis group. “Da entrambi gli schieramenti arrivano notizie ufficiose di decine di migliaia di caduti sul campo solo nell’ultimo mese. Le cifre sono forse esagerate, ma è possibile che quella etiope sia la guerra più sanguinosa in corso nel mondo, con il numero maggiore di combattenti coinvolti”, conclude.

Le forze governative sembrano intenzionate a proseguire fino a Mekelle, il capoluogo del Tigrai, scontrandosi con gli avversari a est e a sud, nella regione Amhara, dove i combattenti tigrini potrebbero essersi nascosti nelle grotte sulle montagne. Sono stati registrati gravi scontri intorno a Dedebit e a Sheraro.

Secondo gli esperti, altri stati sono coinvolti, in una situazione esplosiva per tutto il Corno d’Africa. “È confermata la presenza di combattenti provenienti dai paesi confinanti: Eritrea, Somalia e Sudan. E sembra che siano coinvolti anche i più lontani Ciad, Niger e Libia”, afferma Hudson. “Senza contare i droni e le munizioni inviate da Turchia, Emirati Arabi Uniti, Russia, Iran e Cina, oltre agli equipaggiamenti militari acquistati dagli Stati Uniti prima della guerra”. ◆ gim

Gli autori di quest’articolo sono Will Brown, Lucy Kassa e Zecharias Zelalem.

Da sapere
Colloqui in fumo

◆ L’8 ottobre 2022 avrebbero dovuto svolgersi in Sudafrica dei colloqui di pace sull’Etiopia promossi dall’Unione africana, a cui i rappresentanti del governo etiope e delle autorità del Tigrai avevano accettato di partecipare. Ma all’ultimo momento l’incontro è stato rinviato a data da destinarsi. Reuters, Sudan Tribune


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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati