Negli ultimi mesi il presidente russo Vladimir Putin ha minacciato ripetutamente l’uso di armi nucleari tattiche sul suolo ucraino, ma alcuni funzionari statunitensi sospettano che dovrà fare i conti con una realtà di cui gli americani sono consapevoli da anni: gli ordigni atomici di bassa potenza sono difficili da usare e ancor più da controllare. Più che armi da guerra sono strumenti per terrorizzare la popolazione e seminare il panico.
Alcuni esperti governativi e indipendenti hanno analizzato le minacce di Putin, sollevando forti dubbi sulla possibilità che le testate tattiche siano efficaci per raggiungere gli obiettivi del Cremlino. Secondo i funzionari statunitensi, Mosca potrebbe usare queste armi in un tentativo disperato di fermare la controffensiva ucraina, minacciando di rendere invivibili parti del paese.
I funzionari con cui abbiamo parlato, che hanno rivelato il contenuto di conversazioni riservate, hanno chiesto di mantenere l’anonimato.
Gli scenari sul possibile ricorso alle armi tattiche sono estremamente diversi. I russi potrebbero sparare un proiettile da sei pollici (quindici centimetri) da un cannone d’artiglieria posizionato sul territorio ucraino, ma anche una testata da mezza tonnellata trasportata da un missile lanciato dalla Russia. Il bersaglio potrebbe essere una base militare ucraina o una piccola città. Il livello di distruzione – e la ricaduta radioattiva – dipenderebbe da fattori come le dimensioni dell’ordigno e la direzione dei venti. In ogni modo anche una piccola esplosione potrebbe provocare migliaia di vittime e rendere una determinata area inabitabile per anni. Eppure per Mosca i rischi potrebbero superare di gran lunga i potenziali benefici. In caso di attacco nucleare, infatti, la Russia sarebbe isolata a livello internazionale. L’occidente potrebbe approfittarne per convincere la Cina, l’India e gli altri paesi che continuano a comprare gas e petrolio russi a imporre le sanzioni che finora hanno evitato. Inoltre, le radiazioni prodotte dalle armi di Mosca potrebbero facilmente finire sul territorio russo.
Da mesi i computer del Pentagono, dei laboratori nucleari e dell’intelligence statunitensi cercano di simulare un modello dei possibili sviluppi e delle eventuali reazioni degli Stati Uniti. Considerata la varietà delle armi nucleari tattiche, non è un compito facile. La maggior parte degli ordigni ha una potenza distruttiva molto inferiore a quella delle bombe sganciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. In un discorso aggressivo e minaccioso pronunciato il 30 settembre, Putin ha sottolineato che con quelle bombe Washington ha “creato un precedente”.
Un funzionario a conoscenza del contenuto dell’analisi in corso sottolinea che i modelli predittivi variano drasticamente a seconda del luogo della possibile esplosione, che potrebbe essere una base militare, una piccola città o magari i cieli sopra il mar Nero, con intenti puramente dimostrativi.
Dubbia utilità
L’arsenale di armi tattiche della Russia è circondato da grande segretezza, ma sappiamo che comprende armi molto diverse per dimensioni e potenza. A preoccupare di più gli europei sono le testate pesanti che possono essere posizionate sui missili Iskander-M e sono in grado di colpire l’Europa occidentale. Fonti russe indicano che l’esplosione nucleare più contenuta provocata da questi ordigni avrebbe una potenza di circa un terzo rispetto a quella della bomba di Hiroshima. Più precise sono invece le informazioni sulle armi tattiche progettate durante la guerra fredda dagli Stati Uniti. L’ordigno Davy Crockett, fabbricato alla fine degli anni cinquanta e chiamato così in onore dell’esploratore e politico statunitense, pesava circa trenta chili, aveva l’aspetto di una grossa anguria con quattro pinne e un millesimo della potenza della bomba sganciata su Hiroshima.
Durante la guerra fredda gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno sviluppato centinaia di varianti di queste armi. Anche se meno devastanti di quelle degli ordigni strategici, le loro esplosioni causerebbero comunque danni gravi e duraturi. Sul terreno la radioattività “sarebbe molto persistente”, sottolinea Michael G. Vickers, ex responsabile del Pentagono per le strategie di controguerriglia. Secondo Vickers le armi tattiche russe “sarebbero presumibilmente usate contro raggruppamenti di forze nemiche per prevenire una sconfitta”. Tuttavia, “la loro utilità strategica sarebbe estremamente dubbia, considerate le conseguenze che la Russia subirebbe in seguito all’esplosione”.
Per quanto riguarda le radiazioni mortali, sul territorio ucraino esiste un solo precedente: l’incidente di Černobyl del 1986. All’epoca i venti, che soffiavano da sud e da sudest, trasportarono le nubi radioattive verso Bielorussia e Russia. Quantità minori di detriti radioattivi finirono anche in Svezia e Danimarca.
I pericoli legati alle radiazioni di un’arma nucleare tattica sarebbero probabilmente inferiori a quelli prodotti dall’esplosione di Černobyl. In quel caso la ricaduta radioattiva contaminò il terreno per chilometri attorno alla centrale e trasformò i centri abitati in città fantasma. Le radiazioni provocarono migliaia di tumori, anche se è difficile stabilire il numero con precisione. La zona attorno alla centrale è ancora contaminata. Questo rende particolarmente sorprendente il fatto che i russi abbiano fornito una scarsa protezione alle truppe che hanno attraversato quei luoghi nei primi giorni dell’invasione, quando l’esercito di Mosca ha tentato senza successo di prendere Kiev.
L’uso di armi nucleari non permetterebbe a Putin di raggiungere i suoi obiettivi
Le minacce russe hanno sconvolto gli statunitensi, che ormai da decenni avevano smesso di temere la catastrofe nucleare. Ma non sono una novità. Putin, in un certo senso, sta seguendo il percorso tracciato dagli Stati Uniti settant’anni fa, quando Washington mise a punto un piano per difendere la Germania e l’Europa da un’invasione sovietica su larga scala. L’idea era quella di usare le armi nucleari tattiche per rallentare l’eventuale invasione. L’ex segretario di stato Colin Powell fu inviato in Germania nel 1958, quando era un giovane comandante di plotone. Nelle sue memorie ha ricordato che il suo compito era gestire “un cannone atomico da 280 millimetri trasportato da un camion”. Diversi decenni dopo, Powell ha affermato che la strategia con cui la Nato e gli Stati Uniti intendevano difendere l’Europa occidentale, rischiando l’uso di armi nucleari, era “una follia”.
Deterrenza e minacce
La definizione “armi tattiche” serve a differenziare questi ordigni da quelli di grandi dimensioni capaci di distruggere intere città, che gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e le altre potenze nucleari hanno piazzato su missili intercontinentali, puntandoseli contro. Sono questi ordigni, molto più potenti di quelli di Hiroshima e Nagasaki, ad aver alimentato la paura della distruzione del mondo. Le armi tattiche potrebbero al massimo devastare qualche isolato di una grande città e fermare una colonna di soldati. Ma non distruggerebbero il pianeta.
Le grandi armi strategiche sono state regolamentate grazie ai trattati sul controllo degli armamenti. Gli Stati Uniti e la Russia ne hanno fissato il limite a 1.550. Le armi tattiche, invece, non sono mai state regolamentate. La logica della deterrenza – un attacco contro New York ne comporterebbe immediatamente uno contro Mosca – non è mai stata applicata alle armi di bassa potenza. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 l’amministrazione statunitense temeva che i terroristi di al Qaeda potessero impossessarsi di un’arma atomica e usarla per distruggere obiettivi negli Stati Uniti.
La Cia ha cercato in tutti i modi di capire se al Qaeda o i taliban fossero riusciti a ottenere la tecnologia necessaria per costruire bombe nucleari. L’amministrazione del presidente Barack Obama ha organizzato una serie di vertici con i leader mondiali per ridurre la quantità di materiale atomico utilizzabile per costruire ordigni e “bombe sporche”. Con la fine della guerra fredda la Nato ha ammesso pubblicamente un aspetto che gli esperti conoscevano da tempo, cioè che l’ipotesi dell’uso di armi atomiche non era logica e che l’occidente avrebbe potuto ridurre drasticamente il suo arsenale nucleare. Così i paesi occidentali hanno cominciato a disfarsi delle armi nucleari tattiche nella convinzione che avessero una scarsa efficacia militare. In Europa c’è ancora un centinaio di ordigni tattici, che hanno soprattutto il compito di tranquillizzare i paesi della Nato esposti alla minaccia della Russia, la quale – secondo le stime – ha circa duemila testate nucleari tattiche. Oggi il mondo si chiede se Putin deciderà di usarle.
La possibilità che il presidente russo faccia ricorso alle armi nucleari di bassa potenza ha spinto gli strateghi militari occidentali a tornare a interrogarsi sulla dottrina militare conosciuta come escalate to de-escalate. Secondo questa teoria i russi potrebbero usare un’arma nucleare per intimidire l’avversario e convincerlo ad arrendersi. Questa è l’escalation. A quel punto, dopo il ritiro del nemico, la Russia passerebbe alla de-escalation.
Di recente Mosca ha sfruttato l’arsenale nucleare per dare credibilità alle sue minacce. Nina Tannenwald, politologa della Brown university, negli Stati Uniti, ha ricordato che Putin ha ventilato l’uso di armi nucleari per la prima volta nel 2014, durante l’invasione della Crimea. Poi, nel 2015, la Russia ha minacciato la distruzione nucleare delle navi da guerra danesi nel caso Copenaghen fosse entrata nel sistema di difesa antimissilistica della Nato. Alla fine di febbraio 2022, infine, Putin ha detto di essere pronto a mobilitare le forze nucleari, anche se non risulta che la minaccia si sia realizzata.
Alla fine di settembre il centro studi statunitense Institute for the study of war ha concluso che “l’uso di armi nucleari da parte della Russia comporterebbe un enorme rischio a fronte di benefici limitati, che comunque non permetterebbero a Putin di raggiungere gli obiettivi prefissati. Nel migliore dei casi l’impiego di armi tattiche congelerebbe la linea del fronte, consentendo al Cremlino di conservare i territori occupati in Ucraina”. Per quest’obiettivo, tuttavia, servirebbero “diversi” ordigni nucleari tattici. “E l’offensiva non consentirebbe comunque alla Russia di conquistare l’intera Ucraina”, cioè l’obiettivo iniziale della guerra di Putin. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati