Nella piscina sotterranea di una città universitaria senza nome l’acqua ha un effetto potentissimo. Esercita la sua forza di galleggiamento sui corpi, alleviando il dolore e facendo sentire giovani gli anziani. I nuotatori trovano una via di fuga dalle “solite afflizioni in superficie”: problemi alle ginocchia, dipendenza, crepacuore. La piscina è un rifugio dal rumore, dalla famiglia, dal lavoro, da internet, dal sole troppo accecante. Proprio quando il lettore s’immerge in questo studio intimo di un microcosmo, appare una crepa sulla parete della piscina e il libro fa un salto mortale. La crepa s’insinua nella mente dei nuotatori e la comunità si disintegra intorno a essa. Otsuka tratta il presagio con umorismo, dando alla narrazione la qualità assurda di un giallo di provincia. La persona più colpita è Alice, nuotatrice affetta da demenza, che sperimenta dei flashback sulla sua infanzia in un campo di prigionia per giapponesi-americani in tempo di guerra. Alice diventa il centro del romanzo e la sua presenza sembra essere l’unico collegamento tra le due parti del libro. Le sue descrizioni formano un cupo contrappunto alle libertà della piscina, in cui si vive il tipo di esistenza paradossalmente iper-sorvegliata ma profondamente solitaria che associamo al carcere. Nina Renata Aron, Los Angeles Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati