Quando salta fuori un film realizzato “in un unico piano sequenza”, sorgono due domande. Primo, se davvero si tratta di un’unica lunga sequenza e, se no, dove si nascondono gli stacchi. Secondo, se questa scelta serve attivamente alla narrazione o se si tratta solo di un espediente. È noto che Alfred Hitchcock ha definito il suo Nodo alla gola (1948) un’acrobazia, ammettendo a François Truffaut di non sapere chi gliel’abbia fatto fare. Più di sessant’anni dopo, Birdman, il vincitore del premio Oscar del 2015 di Alejandro González Iñárritu, non è risultato meno acrobatico: tecnicamente abbagliante, ma alla fine vacuo. Forse il miglior complimento che si può fare all’esordio a basso budget di Philip Barantini è che più di una volta ci si dimentica che è girato in un’unica sequenza perfettamente orchestrata. In più la tecnica, che evoca l’esperienza del panico che lentamente ti assale, è molto efficace. Forse anche perché, come il thriller tedesco Victoria (altro film realmente realizzato in un’unica sequenza), è prima di tutto un dramma avvincente. Stephen Graham interpreta Andy Jones, un uomo sull’orlo del baratro, chef di un ristorante a sua volta prossimo al caos in una serata particolarmente complicata. Andy è sopraffatto e scarica il suo stress sugli altri. Un mondo frenetico in cui tutti hanno una storia, un complesso mosaico di voci individuali che si elevano tutte in un unico grido. Il risultato è una commedia che tra nervosismi e umorismo macabro si dirige verso la tragedia.
Mark Kermode, The Observer
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Questo articolo è uscito sul numero 1486 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati