Alcune frasi restano incompiute, interrotte a metà da un punto brusco. Altre rimangono in sospeso, fermate da una virgola seguita da un vuoto. La narrazione procede quindi a tentoni, resistendo al lettore, in questo libro interamente costruito di storie nelle storie. Louise Chennevière desidera rinchiudere in un mausoleo di carta l’uomo che ha amato follemente e sensualmente, per custodire per sempre colui che alla fine l’ha lasciata. Per trattenerlo e distruggerlo. Cantare l’amore e, nello stesso respiro, esporre il kitsch trito di questo canto. L’autrice descrive “ciò che mi ero sempre ripromessa di non diventare, perché sapevo da troppo tempo, da quando ero bambina, come finiscono i romanzi rosa, e come alla fine si tratta sempre di donne sconvolte, abbandonate. Morte”. Per non entrare nella schiera letteraria delle amanti abbandonate, le Anna Karenina e le Emma Bovary, Louise Chennevière ingaggia un combattimento corpo a corpo con le parole. Una lotta disperata che l’autrice vince per ko.
Elisabeth Philippe, Le Nouvel Observateur
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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati