Le foto di questo lavoro, intitolato Purple blood, sono state realizzate nel 2022, in collaborazione con il Pulitzer center di Washington, Stati Uniti.
D urante la stagione del raccolto, da giugno a novembre, migliaia di brasiliani si arrampicano sulle palme açaí con un coltello in mano e ai piedi delle corde di tessuto per aiutarsi durante la salita. Negli ultimi anni le bacche dal colore viola prodotte dalla pianta sono diventate molto ricercate sul mercato internazionale, anche grazie a campagne pubblicitarie che gli attribuiscono proprietà benefiche per la salute. Dopo il raccolto sono snocciolate, schiacciate, ridotte in polvere o in succo, e poi vendute a produttori e distributori che le usano per bevande, cibi, cosmetici e integratori.
Nello stato brasiliano del Pará, che è il più grande consumatore nazionale e anche il maggiore esportatore mondiale di bacche di açaí, la crescita della domanda ha provocato l’aumento delle monocolture – si è passati da 77mila a 188mila ettari negli ultimi dieci anni – e la conseguente perdita di biodiversità. “Le aziende straniere vogliono accaparrarsi il monopolio perché riescono a rivendere i prodotti negli Stati Uniti e in Europa a prezzi molto più alti, ottenendo enormi profitti”, spiega il fotografo Karl Mancini, che nel 2022 ha documentato i costi sociali e ambientali legati alla produzione di bacche di açaí, in collaborazione con il Pulitzer center di Washington, negli Stati Uniti. Secondo i dati forniti dalla federazione delle industrie dello stato del Pará, in un decennio le tonnellate di questo frutto esportate sono passate da quaranta a quasi seimila nel 2021.
“Le conseguenze ricadono soprattutto sui lavoratori locali, chiamati peconheiros, che guadagnano pochissimo nonostante il lavoro sia massacrante e li esponga a rischi gravi, tra cui mutilazioni, invalidità e incidenti mortali causati dalle cadute”, aggiunge Mancini. I raccoglitori più ricercati sono soprattutto i bambini tra gli otto e i nove anni. I loro corpi piccoli e leggeri permettono di arrampicarsi meglio sul tronco sottile delle palme, che possono arrivare fino a 25 metri di altezza. Anche se vivono nella regione da decenni, le popolazioni locali non sono proprietarie di queste terre e potrebbero essere mandate via dallo stato in qualsiasi momento. Inoltre, non riescono a essere competitive con le aziende esportatrici a causa dei tempi e dei mezzi di trasporto necessari alla produzione. Il frutto si decompone velocemente, quindi dev’essere consumato il giorno stesso o lavorato e congelato per essere esportato entro un paio di giorni.
“In Brasile le monocolture di açaí sono l’ennesimo esempio di come il neocolonialismo ambientale ed economico stia contribuendo in modo significativo alla crisi climatica, causando danni irreversibili agli ecosistemi del paese, con conseguenze gravi per la popolazione”, dice Mancini. ◆ adr
Karl Mancini è un fotografo italiano che vive tra Roma e Buenos Aires.
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Questo articolo è uscito sul numero 1495 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati