Come scrittore che ha documentato le montagne russe finanziarie e sociali dell’Irlanda dalla fine degli anni ottanta, è naturale che Roddy Doyle sia tra i primi a registrare gli effetti della pandemia, del lockdown e del lutto. I dieci racconti di La vita senza i figli lo fanno tutti. Ci sono immagini che pochi anni fa sarebbero sembrate insensate, ma che ora sono tristemente familiari: una frustrante chiamata su Zoom con una moglie molto amata su un tablet appoggiato goffamente sul suo letto d’ospedale; mascherine chirurgiche dismesse sui marciapiedi bagnati; il “nuovo linguaggio” delle statistiche alla radio; la cerniera di un sacco per cadaveri. In questo inedito e strano mondo, “la distanza sociale è una frase che tutti capiscono. È come la fluidità di genere e lo sviluppo sostenibile”. Ma ciò che sembra più familiare è il senso di assenza che riempie ogni storia. Nel racconto che dà il titolo al libro, Alan cammina per Newcastle lottando con la sensazione di non essere più necessario. Doyle tocca argomenti come il licenziamento, l’abuso, la depressione, il lutto e l’invecchiamento con la sua consueta tenerezza e con umorismo.
Katy Guest, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati