◆ Alcune aziende vorrebbero estrarre minerali dai fondali marini, che sono ricchi di elementi chimici importanti per la transizione energetica. I depositi marini differiscono per natura e contenuto. Alcuni, che si trovano a grandi profondità, si sono formati nel corso di milioni di anni. Sono costituiti da piccoli massi simili a pepite, ricchi di rame, nichel, terre rare, litio e altro. Per prelevare le pepite si potrebbero usare dei robot, senza bisogno di scavare. Uno dei depositi presi in considerazione, il Clarion-Clipperton, si trova al lago delle Hawaii, scrive la Deutsche Welle. Altri sono nell’oceano Indiano centrale e nell’oceano Pacifico, vicino a Kiribati e alla Polinesia Francese. Circa due anni fa Nauru, uno stato insulare del Pacifico, ha avvisato l’International seabed authority (Isa) di voler rilasciare delle licenze minerarie per lo sfruttamento dei fondali. L’Isa dovrà prendere una decisione entro il mese di luglio, scrive Mit Technology Review, ma finora non è stato raggiunto un accordo.
Alcuni scienziati, spiega il Guardian, avvertono però che lo sfruttamento minerario dei fondali potrebbe aggravare l’inquinamento marino e distruggere risorse ittiche ed ecosistemi. Di recente l’ong Fauna & Flora international ha pubblicato un rapporto sulla questione. Secondo Catherine Weller, che ha partecipato alla stesura del testo, c’è anche il rischio di liberare le riserve di carbonio presenti sui fondali marini, aggravando la crisi climatica.
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati