L’evacuazione delle baraccopoli a Mayotte, isola francese nell’oceano Indiano, ribattezzata “operazione Wuambushu”, continua a suscitare sdegno. Il 25 aprile è stata sospesa da una giudice dell’isola che ha constatato condizioni di espulsione “irregolari”, e la vicina repubblica delle Comore ha chiesto di annullarla. Il ministro dell’interno comoriano Fakridine Mahamoud, che ha denunciato l’unilateralismo francese, l’ha detto chiaramente: “Nessuna delle persone espulse entrerà in un porto comoriano”. Facendo seguire alle parole i fatti, il 24 aprile le autorità dell’arcipelago hanno negato il permesso di attraccare a un’imbarcazione che trasportava migranti proveniente da Mayotte. Un segno che l’operazione francese arranca.
Le trattative che avevano preceduto l’inizio degli sgomberi avevano lasciato intravedere la possibilità di un accordo tra Parigi e le Comore. L’evoluzione della situazione suggerisce, però, che ci vorrà del tempo prima che le parti trovino un’intesa. Suscita perplessità il fatto che le Comore affermino di non avere i mezzi per accogliere i migranti (molti dei quali originari di queste isole).
Dal canto suo la Francia, che ha inviato a Mayotte 1.800 agenti delle forze dell’ordine, sembra intenzionata ad andare fino in fondo. E la sua determinazione è resa ancora più evidente dall’obiettivo sbandierato di combattere l’immigrazione irregolare, la delinquenza e le condizioni di vita insalubri nel dipartimento d’oltremare. È ancora possibile un compromesso tra Moroni e Parigi? Sicuramente hanno degli interessi comuni da difendere. Nel 2019 hanno firmato un accordo di cooperazione sulle questioni migratorie. Per questo le Comore hanno ricevuto aiuti allo sviluppo per 150 milioni di euro. Il governo di Moroni ha interesse ad agire per una svolta positiva della situazione, visto che non può battere Parigi né con la forza né con l’influenza, nonostante il leader comoriano Azali Assoumani sia il presidente di turno dell’Unione africana. Inoltre le Comore non dovrebbero chiudere le loro porte, visto che tra le persone che vivono senza documenti in regola a Mayotte ci sono molti comoriani.
In realtà, tutto porta a credere che il braccio di ferro tra i due paesi derivi piuttosto dalla vecchia diatriba sull’annessione di Mayotte alla Francia. Le Comore non hanno mai mandato giù la decisione degli abitanti dell’isola di separarsi nel 1974 e di riconoscere, nel 2011, la sovranità francese. La questione avvelena le relazioni tra le isole. In ogni caso, la Francia dovrebbe dare prova di umanità e rinunciare a sgomberare con la forza gli abitanti delle baraccopoli, che vogliono solo vivere in pace. Inoltre avrebbe torto a ricorrere alla violenza per superare l’opposizione dei movimenti per i diritti umani e delle associazioni per il diritto alla casa. Invece di allentare le tensioni in questo piccolo arcipelago dell’oceano Indiano, aggraverebbe una frattura sociale già ampia. ◆ adg
◆ Il 29 aprile 2023 una decina di sindaci delle isole Comore ha protestato contro l’operazione Wuambushu, lanciata dal governo francese il 24 aprile sull’isola di Mayotte. L’intervento della polizia, che prevede la distruzione di baraccopoli e l’arresto di chi non ha i documenti in regola, è sostenuto da buona parte degli abitanti, ma ha scatenato scontri tra gli agenti e i giovani manifestanti. Si calcola che metà delle trecentomila persone che vivono a Mayotte sia straniera. L’isola, che nel 1974 votò contro l’indipendenza dalla Francia e oggi è il dipartimento più povero del paese, attira migranti dalle vicine Comore e dal Madagascar. Nel 2011, dopo un referendum, è diventata un dipartimento d’oltremare, ma la comunità internazionale non ha mai riconosciuto questo status. Rfi
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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati