Il 9 maggio l’ex primo ministro pachistano Imran Khan è stato arrestato mentre si trovava in tribunale a Islamabad per difendersi dalle accuse di corruzione e sedizione. Khan è detenuto per corruzione. Il suo arresto ha scatenato proteste violente in tutto il Pakistan: almeno due persone sono morte negli scontri e quasi mille persone sono state fermate nelle 24 ore successive. È un’accelerazione drammatica nella battaglia politica tra l’ex premier e l’esercito – la forza che decide le sorti del paese – cominciata poco prima che Khan fosse estromesso dal parlamento con un voto di sfiducia nell’aprile del 2022. Khan, ex campione di cricket molto popolare, era stato eletto nel 2018 con l’appoggio dei militari, che però gli hanno poi voltato le spalle. Per il Pti, il partito dell’ex primo ministro, le accuse di corruzione e sedizione sono infondate e sono un tentativo del governo di escludere Khan dalle elezioni di ottobre. Se condannato, infatti, non potrà ricandidarsi. “Il ministro dell’interno dice che l’ex premier è stato arrestato perché ha rifiutato di partecipare a un’indagine su un caso di corruzione ai danni dello stato, ma i recenti sviluppi – in particolare le ultime tensioni tra Khan e l’esercito – suggeriscono che avrebbe potuto essere fermato per qualsiasi altro motivo”, scrive Dawn in un editoriale. “Negli ultimi tredici mesi abbiamo visto il passato dell’esercito – soprattutto le sue ingerenze politiche – riaffiorare nel contesto di una crisi politica ed economica senza precedenti. Dato il sostegno raccolto da Khan nell’ultimo anno, l’establishment non poteva più ignorarlo, ma eliminarlo non servirà a molto. Piuttosto, le proteste in corso dimostrano che il suo arresto potrebbe aver incrinato il patto storico tra i militari e il popolo pachistano. E la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni è l’ultima cosa di cui il paese ha bisogno”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati