“Nel suo periodo migliore Maurizio Pollini era uno dei più grandi pianisti del mondo”, scrive Michael Church. “Negli ultimi anni ha avuto un calo, ma a 81 anni riempie ancora le sale più importanti. E così ha fatto a Londra, per un recital che prima aveva rinviato per motivi di salute. Dopo qualche minuto di concerto doveva attaccare la Fantasia op. 17 di Schumann, ma invece ha fatto una breve raffica di accordi dissonanti. A quel punto si è ritirato dietro le quinte, poi è tornato con un fascio di fogli di musica, che ha esaminato con esitazione prima di lanciarsi leggendo la partitura. Mentre rimescolava le pagine, tutto l’impeto della musica di Schumann è svanito e a un certo punto Pollini si è arreso, osservando la partitura con patetica perplessità. È stato uno spettacolo straziante. Poi si è un po’ ripreso e ha ritrovato la strada, anche se con incertezza. Per la seconda parte del concerto, dedicata a Chopin, aveva un voltapagine che gli sfogliava lo spartito. La fine della serata è stata accolta da applausi trionfali, che lui ha accettato con gesti quasi imbarazzati. Quello che stavamo applaudendo, e per cui lo ringraziavamo, era più di mezzo secolo di musica suonata in modo sublime. Ogni pianista da concerto deve avere un’enorme resistenza fisica e compiere straordinarie imprese di memoria. E, come un tempo gli artisti del circo, rischia tutto ogni volta, senza rete. Questa volta Pollini è caduto dal trapezio”.
Michael Church, The Other Classic a l Musics
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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati