Pankaj Mishra racconta tutto l’eccitante senso di opportunità e l’amaro disincanto della globalizzazione, la precipitosa ascesa e la spettacolare caduta di una schiera d’indiani poveri che hanno cercato il successo in occidente. Cresciuto da un venditore ambulante della stazione ferroviaria, Arun Dwivedi comincia la sua ascesa frequentando l’Indian institute of technology, dove si imbatte in due ragazzi come lui. Aseem, “una mascotte dell’autoinvenzione trionfante”, si trasforma in un’affascinante figura culturale e attivista politico. Virendra, nato nella casta degli intoccabili, diventa un finanziere miliardario con abitudini sessuali insolite. Arun è più cauto e abbraccia una vita tranquilla come studioso di letteratura sull’Himalaya indiano. Ma quando s’innamora di Alia, una giornalista musulmana benestante che sta scrivendo un libro sugli “uomini vuoti” della nuova India, è attirato da Londra e dai suoi piaceri cosmopoliti. Figli della nuova India analizza le fortune di queste figure durante il boom indiano e il successivo contraccolpo populista guidato da Narendra Modi. Mishra, prolifico scrittore di saggistica, non è mai noioso. Ma non ha uno stile letterario, e questo romanzo ha poche sfumature o astuzie narrative.
Sam Sacks, The Wall Street Journal

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Questo articolo è uscito sul numero 1528 di Internazionale, a pagina 75. Compra questo numero | Abbonati