Un romanzo sul tema della fame incentrato su una giovane donna con un disturbo alimentare che trova la salvezza tra le braccia di una sua coetanea ebrea ortodossa, che lavora in una gelateria. Rachel pianifica e conta ossessivamente le calorie che può consumare fino all’ultimo muffin, poi si costringe a bruciarne 3.500 a settimana in palestra. Con il suo tono spento e la narratrice che cerca di sfuggire a se stessa, il romanzo può ricordare Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh. Ma mentre la protagonista di Moshfegh vive per dormire, l’antieroina di Broder vive per mangiare. Il punto di svolta arriva quando la terapeuta di Rachel la incoraggia a tagliare i contatti con la madre che la rimprovera di essere grassa e a usare la creta da modellare per “identificare, in modo visivo e tattile, la discrepanza tra come ti percepisci e come appari effettivamente agli altri”. Entra in scena Miriam, la ragazza lussuriosamente grassa dietro il bancone di Yo!Gurt, dove Rachel va per la sua porzione giornaliera di 500 grammi, senza aggiunte. Ma Miriam riempie letteralmente la coppetta di Rachel. Non passa molto tempo prima che la nostra eroina abbandoni la dieta e s’innamori perdutamente della commessa e del cibo. Broder presenta la fame di sesso e la fame di cibo di Rachel come due aspetti inestricabilmente legati, se non addirittura intercambiabili. Il romanzo mette coraggiosamente in discussione l’esaltazione femminile della magrezza e il disprezzo per il grasso. E parla di come siamo incatenati alle idee socialmente dominanti.
Lucinda Rosenfeld, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati