Il 24 settembre in Kosovo si è verificato il più grave episodio di violenza degli ultimi anni. Un gruppo di trenta serbi armati ha attaccato alcuni poliziotti kosovari, uccidendone uno e ferendone due. Secondo la ricostruzione del sito Kossev, alle 2.30 di notte alcune pattuglie della polizia hanno notato due camion senza targa che bloccavano la strada di accesso al villaggio di Banjska. Subito dopo sono state attaccate con colpi di arma da fuoco, granate e bombe a mano. Con l’arrivo di altri agenti, gli assalitori si sono rifugiati nel monastero di Banjska, dove erano presenti i monaci e alcuni turisti serbi. Gli scontri sono continuati per diverse ore e alla fine, oltre al poliziotto, sono rimasti uccisi quattro uomini del commando. Più tardi sono state arrestate altre quattro persone sospettate di aver preso parte all’attacco. Il premier kosovaro Albin Kurti ha parlato di terrorismo, accusando Belgrado di sostenere i gruppi armati serbi attivi nel nord del Kosovo, mentre il presidente serbo Aleksandar Vučić ha condannato l’attacco, aggiungendo però che la responsabilità è del leader kosovaro e della sua politica antiserba. “Kurti non può dare segni di cedimento. E non può farlo neanche Vučić”, scrive il sito croato Telegram. “Il risultato è uno stallo molto difficile da gestire. Con i leader locali sotto pressione e una situazione internazionale estremamente confusa, gli ingredienti per immaginare lo scenario peggiore ci sono tutti”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati