Il giornalista Toe Zaw Latt, veterano della testata indipendente birmana Mizzima, vive da un anno in Thailandia, dove gestisce programmi di formazione per giornalisti in una “zona liberata” sulle montagne al confine con la Birmania. “Accogliamo reporter da tutta la Birmania e teniamo gli incontri in presenza. Poi i partecipanti tornano da dove sono venuti per mettere a frutto quello che hanno imparato. Offriamo formazione sui fondamenti del giornalismo, sull’uso dello smartphone per fare i reporter, sulla verifica dei fatti e così via”, spiega Toe Zaw Latt. Finora ha organizzato quattro sessioni di formazione, ciascuna con quindici giornalisti. “Alcuni lavorano già per una testata, altri diventeranno citizen journalist, ma tutti vengono dalla Birmania”, aggiunge. La zona di confine è spesso controllata da organizzazioni armate delle etnie locali che collaborano con le forze filodemocratiche. Attraversare il confine all’insaputa delle autorità quindi non è facile, ma nemmeno impossibile.

Dopo il colpo di stato militare del febbraio 2021 molti mezzi d’informazione indipendenti birmani, incluso Mizzima, si sono trasferiti in Thailandia o in altri paesi confinanti. La repressione dell’esercito contro i gruppi filodemocratici ha preso di mira i giornalisti. Ma, anche se si sono trasferite all’estero, le redazioni hanno continuato a raccontare le tensioni nel paese.

“Un piede dentro e uno fuori, questa è la strategia”, dice Toe Zaw Latt. “La raccolta d’informazioni avviene per lo più in Birmania, mentre il confezionamento e la diffusione avvengono fuori”.

Racconta poi che i mezzi d’informazione indipendenti hanno mantenuto una rete di reporter sotto copertura che operano in tutta la Birmania, dalla capitale commerciale Rangoon alle zone rurali. “I giornalisti lavorano sempre in piccole unità. Si conosce solo lo stretto indispensabile per lavorare, perfino sulle persone con cui si collabora”, spiega. “In questo modo, anche se una persona della rete viene arrestata, non può essere collegata alle altre. La maggioranza resta in Birmania a raccogliere le notizie”.

Non è la prima volta che i mezzi d’informazione indipendenti birmani devono lavorare clandestinamente. Testate come Mizzima, Democratic voice of Burma e Irrawaddy sono state fondate fuori dalla Birmania negli anni novanta, durante il precedente regime militare, e sono conosciute come “mezzi d’informazione in esilio”. Dopo il passaggio a un governo civile nel 2011, le autorità avevano invitato queste testate a rientrare nel paese. In nemmeno dieci anni, nel 2021, il golpe le ha però costrette a un nuovo esilio.

Impugnare la penna

Negli ultimi dieci anni l’ampia diffusione di smartphone e piattaforme social ha dato a chiunque la possibiliità di trasmettere informazioni. Dopo l’ultimo colpo di stato sono nate molte piccole organizzazioni attive sui social network per raccontare quello che succede in Birmania.

La vita dei giornalisti dissidenti non è facile: spesso i gruppi che sostengono i militari divulgano le informazioni personali dei reporter su Telegram. La giunta, inoltre, esercita pressioni arrestando i familiari e sequestrando le abitazioni.

Un reporter di quarant’anni che lavorava per un’agenzia di stampa indipendente è stato arrestato nel marzo 2021 e condannato. Rilasciato un anno e mezzo dopo, si è rifugiato a Mae Sot, nel nordovest della Thailandia, dove vivono molti esuli, e ha ripreso il suo lavoro. “Quando dopo l’arresto mi hanno interrogato, una persona trattenuta nella stessa stanza mi ha supplicato di aiutarla: ‘Non riesco a respirare’, mi ha detto. Se qualcuno moriva durante un interrogatorio, la polizia mi costringeva a raccontare ai suoi familiari che non era stato maltrattato”, racconta.

Durante il governo della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito guidato da Aung San Suu Kyi, il reporter aveva scritto anche dei punti deboli di quel governo. “Un esponente dell’Lnd mi consigliò di andare in un luogo più sicuro. Gli risposi che, pur essendo noi dalla stessa parte, quando la Birmania fosse tornata alla democrazia mi sarei occupato anche della corruzione nel suo partito. Mi disse: ‘Va bene, capisco perfettamente’. Sappiamo che la rivoluzione richiederà molto tempo. Non sono il tipo da impugnare le armi, preferisco usare la penna e continuare a denunciare”, dice.

Fondi in esaurimento

Malgrado la pesante repressione, i giornalisti birmani sono determinati a resistere. Il loro problema è la sostenibilità finanziaria. “Grazie alle entrate pubblicitarie riuscivamo a pagare metà dei costi. Ma da un giorno all’altro non è stato più così. I mezzi d’informazione dipendono di nuovo dai donatori”, dice Toe Zaw Latt. Tuttavia anche i finanziamenti, provenienti soprattutto dai paesi occidentali, stanno finendo, perché l’attenzione del mondo si è spostata sulla crisi ucraina.

Alcuni criticano le testate internazionali per aver approfittato del desiderio dei giornalisti locali di raccontare i problemi della Birmania, chiedendo il loro aiuto nella raccolta delle notizie senza però pagarli abbastanza per i rischi che correvano. Anche l’etica e le responsabilità dei mezzi d’informazione stranieri andrebbero discusse. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 43. Compra questo numero | Abbonati