Leggere il nuovo romanzo di Yannick Haenel è come entrare in un affresco di Chagall, pieno di cieli, colori e donne eteree, un universo un po’ delirante, tenero e mistico. Addirittura religioso. Il personaggio principale, l’ufficiale Bataille, è a metà strada tra lo starec Zosima dei Fratelli Karamazov e il principe Myškin dell’Idiota, diverso da tutti gli altri, guidato dalla fede, che dedica la vita al bene. Il paradosso è che è un banchiere. Durante uno stage presso la Banque de France, sente tutti i sintomi di una vocazione – la chiamata, il fuoco, l’estasi – e, rendendosi conto che il denaro ha preso il posto di Dio, decide di abbandonare gli studi di filosofia per quelli di economia. L’economia si può sciogliere nella metafisica? È ciò che il tesoriere, folle e saggio allo stesso tempo, si propone di dimostrare. E lo fa smantellando l’energia alla base del sistema che invita a sperperare denaro. La critica al capitalismo prende spunto dai testi fondanti di Marx, Proudhon, Adam Smith e William Morris, ma trasfigurati dalla poesia. Bataille è l’agente di una resistenza interna al sistema che vuole ripensare l’umanità sulla base di una metafisica negativa della merce, nella quale possedere significa perdere. Volendo, il libro può essere letto come una versione romanzesca del pensiero di Georges Bataille. Ma la macchina narrativa funziona così bene che non importa se il lettore non se ne accorge. In virtù della sua stessa economia, il romanzo si arricchisce senza perdere nulla.
Tiphaine Samoyault, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati