1. Lana Del Rey
A&W
“I’m a princess, I’m divisive / Ask me why, why, why I’m like this” (Sono una principessa, sono divisiva / Chiedimi perché, perché, perché sono così), canta Lana Del Rey con la sua voce penetrante in A&W. Nel pezzo forte dell’album Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd la cantante rimugina proprio su un dubbio che la perseguita da quando i critici l’hanno etichettata come poco autentica. Forse, sembra voler dire, tanto vale arrendersi e diventare quello che la gente dice che sei. A&W è la marca di una birra ma qui sta per “American whore” (puttana americana), una provocazione tipica di Del Rey, che darà sui nervi a chiunque sia nauseato dal suo marchio di fabbrica: una fusione di americanità, sesso e capitalismo. Proprio come la protagonista del brano, da tempo lontana dalla madre e maltrattata dagli uomini, organizza freddi appuntamenti sul pavimento di hotel mediocri. È una situazione in cui è stata spinta, ma lei capisce anche che è una trappola: “Se ti dicessi che mi hanno stuprata/ Credi davvero che qualcuno penserebbe che non l’ho chiesto io?”, canta con rabbia e incredulità. Ma forse la trappola più grande, ci dice in A&W, è di essere nata ragazza: condannata a perdere l’innocenza, a dover lasciare all’infanzia le capriole e le relazioni semplici, a occupare un corpo visto come una proprietà e una minaccia. Del Rey ci forza a “guardare la lunghezza dei miei capelli, e la mia faccia, e la forma del mio corpo”, alludendo al fatto che in questi anni è ingrassata e per questo è stata criticata senza pietà, per metterci di fronte alla sua realtà ma anche all’impossibile carico di responsabilità che i suoi fan l’hanno costretta a portare. I sette minuti di canzone, basati su una chitarra stonata e un malinconico pianoforte, danno l’impressione di un corpo che si distende sfarzosamente, irridendo le convenzioni. Perché, per quanto Del Rey sia stata incastrata in questo spazio impossibile – dagli uomini, dai critici, dalla società –, il suo io essenziale rimane intatto nella musica ribelle ed eccentrica. Verso la metà, A&W si attenua per poi diventare una trap martellante mentre deride un amante un po’ fattone. Ricorda qualcosa dell’album Born to die. In giro non c’è nessun altro come Lana Del Rey. ls
2. PinkPantheress e Ice Spice
Boy’s a liar pt. 2
Questo pezzo era già vicino alla perfezione nella sua prima incarnazione (datata novembre 2022). Ora il remix di Ice Spice ha aggiunto un pizzico di sale alla dolcezza dell’originale, creando un pop degno del bacio di uno chef stellato. Oltre alla produzione lo-fi, piena di melodiosi gorgoglii che sembrano una collezione di suonerie di smartphone pieghevoli, le due cantanti raccontano una storia vecchia come il mondo: un idiota sta danneggiando la loro autostima, ma non riescono a toglierselo dalla testa. Ice Spice è particolarmente brava, evoca le sue forme schioccando la lingua e racchiude desiderio e vulnerabilità nel verso “But I don’t sleep enough without you” (ma non dormo abbastanza senza di te). bbt
3. NewJeans
Super shy
La trap e il funk leggero usati da tanti artisti k-pop (la musica pop sudcoreana) hanno cominciato ad apparire vecchi con l’avvento del gruppo femminile NewJeans (e di artiste di larghe vedute come Aespa e Fifty Fifty). Super shy è più fresca di un mazzetto di menta appena colto. La coautrice del pezzo è Erika de Casier, la star avant-pop dell’etichetta britannica 4AD. E la produzione si trova a metà strada tra una drum’n’bass liquida, la Uk garage e l’elettronica in stile Jersey club, riferimenti che troviamo ovunque nel pop di quest’anno ma che qui sono sintetizzati con un fraseggio vocale che pare proiettato direttamente dal paradiso della musica. Il testo professa timidezza, ma il modo in cui è espresso dice il contrario: è la cronaca di un flirt con tanto di ammiccamenti. bbt
4. Kylie Minogue
Padam padam
Con un pizzico di onomatopea pensata per evocare un battito accelerato, Kylie Minogue ha scatenato una padam-mania: il titolo è entrato nel lessico comune in modo così istantaneo che le persone hanno cominciato a usare “padam”, un po’ come gli italiani usano “prego”. Questo è il genere di tormentone che rende spumeggiante il pop, ed è una gioia sentire Minogue riconnettersi alla dance-pop contemporanea, invece che alla nostalgia dei suoi ultimi due album. Quella linea di basso cupa è un sound molto anni 2020. La voce è trattata con un filtro (relativamente) sottile, che fa pensare a un cyborg entrato in una discoteca in cerca di un compagno umano. C’è qualcosa di quasi malefico nel modo in cui questa voce s’insinua nel ritornello: è una testimonianza della portata drammatica di Minogue, a volte sottovalutata. bbt
5. Troye Sivan
Rush
Appena uscito da una lunga relazione, il cantante australiano Troye Sivan ha cominciato a girare i club gay di Melbourne, entrando in modalità baccanale. Il primo singolo di questo suo terzo album si scrolla di dosso tutta la raffinata sofisticatezza dei successi precedenti a vantaggio di uno svago chiassoso. La base house ricorda i Pet Shop Boys dei tempi d’oro, in un loop inesorabile come una notte che non può finire. Sivan guizza sul beat e la voce vivace ma sfocata e stroboscopica è un indizio dell’estasi che sta per arrivare. Si riescono quasi a vedere i suoi occhi che scandagliano un nuovo corpo: “Kiss it when you’re done, man, this shit is so much fun” (Bacialo quando hai finito, amico, questa roba è proprio divertente). È una rivelazione che ti fa venire voglia di organizzare una grande festa e dirlo a tutti quanti. E così fa nel ritornello, un coretto uscito direttamente da uno spogliatoio maschile (deliziosamente queerizzato) che tifa con entusiasmo per gli sport di contatto. ls
6. Blur
The narcissist
Questo singolo del ritorno trasuda pathos. Damon Albarn ripercorre la strada fatta dalla camera da letto agli stadi, dai sollazzi sotto acidi alla dipendenza dall’eroina, il tutto esacerbato da una fama che ha massaggiato il suo ego, dissolvendo però anche la percezione di sé. Alex James si prende una pausa dalla promozione del più irritante progetto vinicolo del Regno Unito (un brut battezzato Britpop) per suonare una linea di basso al tempo stesso ritmica e melodica; l’ostinato riff garage rock di Graham Coxon e la batteria di Dave Rowntree danno la sensazione di un gruppo di amici che si ritrova in una pausa per lavorare a una nuova canzone. bbt
7. Olivia Rodrigo
Vampire / Bad idea right?
Guts, il secondo album di Olivia Rodrigo, è uscito sulla scia del singolo Vampire, un misto rabbioso tra ballata e opera rock, simile in qualche modo a Drivers license: un’epica invettiva contro un qualche “fame fucker” (uno che viene a letto con te perché sei famosa) che oggi probabilmente avrà imparato quali sono le conseguenze d’incrociare una ragazza che ha una gittata così lunga. Ma se nel suo album di debutto, Sour, Rodrigo indugiava sulle sensazioni di chi è stata ingiustamente maltrattata, in altre parti di Guts scopre il piacere di essere la carnefice. Bad idea right?, che nei voti dei nostri critici è giunta a pari merito con Vampire, è una scappatella spassosa e caricaturale con un ex, e al diavolo le conseguenze. Con un incalzante ritmo new wave che deve molto a Toni Basil e ai The Waitresses, questa canzone rende la trasgressione irresistibile. ls
8. Yaeji
For granted
Con testi dolci ma cupi, addossati a uno sfondo di percussioni frenetiche e audaci linee di basso, For granted riflette l’umore di questi tempi incerti: frettoloso, ansioso, con una sensazione di vulnerabilità di fondo. La musica della cantante statunitense di origini coreane ha le radici nella drum’n’bass, come si può ascoltare in altri brani del 2023 di Kenya Grace e PinkPantheress. Ma Yaeji ci mette il suo tocco unico. La canzone traccia un viaggio emotivo, con un testo che parla di chi rimugina troppo sulle cose positive della vita. Un tema rispecchiato da sonorità talvolta scomposte. “Let it rest and I’ll flow” (Lascia che riposi e io scorrerò) canta Yaeji alla fine, cercando di placare la sua mente accelerata. E i beat zigzaganti precipitano in una sequenza di frenetiche percussioni, allusione all’eccitazione che deriva dalla scelta di lasciarsi andare. aa
9. Central Cee x Dave
Sprinter
Ormai naviga verso i 500 milioni di ascolti su Spotify. È la traccia che ha fatto piazza pulita di ogni scherno nei confronti del rap britannico, ridicolizzato con i soliti stereotipi. Sopra una chitarra acustica quasi flamenca (opera del coproduttore Jim Legxacy), tutti i rapper sono in grande forma, impegnati a superarsi a vicenda con doppi sensi e rime ingegnose. E le loro fortune variano in modo divertente: ora riempiono il furgone di groupies, un attimo dopo la ragazza di Dave lo lascia per con P Diddy, e Central Cee cerca di tenere i suoi messaggi su Instagram lontano da occhi indiscreti: “Before I give you my Insta password, I’ll give you the pin to my Amex” (Prima di darti la mia password di Instagram, preferisco darti il pin della mia American Express). bbt
10. Lankum
Go dig my grave
Questa versione funerea di un pezzo folk tradizionale sembra rantolare da una tomba appena scavata. È un atto di orrore opprimente: il peso dei ronzii riesumati è asfissiante; Radie Peat ha una capacità ultraterrena di controllare la propria voce come se fosse un complesso di cornamuse e il dolore che veicola cantando una giovane donna dal cuore spezzato che si toglie la vita è insopportabilmente vicino. È un pezzo brullo, brutale, e completamente diverso da tutte le altre cose pubblicate quest’anno. ls
11. Billie Eilish
What was I made for?
È la canzone più profonda della colonna sonora del film Barbie, una tenerissima ballata per pianoforte che testimonia non solo il disincanto della bambola, ma anche quanto sia disumanizzante la fama e quale ambivalenza può creare nelle persone che la raggiungono. Un tema che Billie Eilish conosce bene: “Looked so alive, turns out I’m not real / Just something you paid for” (Sembravo così viva, si scopre che non sono vera / Solo qualcosa per cui hai pagato). La vertiginosa qualità del falsetto allude al distacco dal suo vecchio sé; sostenuta da archi quasi microtonali, la voce di Eilish risplende, e la stessa cantante svanisce, insieme alla percezione del senso che tutto questo potrebbe avere. ls
12. Charli XCX
Speed drive
Anche se passa di continuo da uno stile all’altro, alcune cose restano coerenti nella musica di Charli XCX, per esempio la passione per la guida spericolata. Le sue inclinazioni hanno trovato lo sbocco perfetto nella colonna sonora di Barbie, facendo da commento musicale al personaggio di Margot Robbie in fuga dai pezzi grossi della Mattel con un’esilarante interpolazione di Mickey di Toni Basil. Un sequel rosa fluo di Vroom vroom. Che aspettate? Salite a bordo! ls
13. Jorja Smith
Little things
Little things cerca di essere disinvolta, senza impegno: Jorja Smith vuole solo una notte di divertimento. Il suo pianoforte funky è difficile da definire; la sua vocalità da dancehall va a segno, in una via di mezzo tra Amy Winehouse e Katy B sotto le luci strobo. Ma quando si arriva al bridge centrale, la sua ugola raggiunge la massima urgenza espressiva ed eccentriche ombre di pianoforte lambiscono l’inquadratura, svelando una fantastica messa in scena. ls
14. Big Thief
Vampire empire
Dopo il superlativo doppio album del 2022 Dragon new warm mountain I believe in you, i folk-rocker statunitensi Big Thief sono tornati con un pezzo che è già uno dei più amati dai fan. Le divagazioni dylaniane nelle strofe lasciano il posto a un ritornello orecchiabile, con Adrianne Lenker che compie sbalorditivi salti di ottava per esprimere lo scombussolamento della relazione tossica a cui allude il titolo. bbt
15. Young Fathers
I saw
Un beat glam-rock veloce o il suono di stivali in marcia? Il trio scozzese ha tirato fuori un inno marziale e ironico, con un ritornello (“Ho visto quel che ho visto / continuo a rigare dritto”) che deride chi si gira dall’altra parte davanti all’immoralità e si fa intimidire dall’autorità. Sul finale un gigantesco coro fanciullesco sommerge tutto con un appello alla resistenza: “Brush your teeth, wash your face, run away!” (Lavati i denti, lavati la faccia, scappa via!). bbt
16. Sampha
Spirit 2.0
Nei sei anni successivi al suo album di debutto, il cantautore britannico Sampha è stato ospite di superstar del calibro di Kendrick Lamar, Drake, Stormzy e Solange, consacrandosi ai grandi livelli del pop. Ma con questo ritorno afferma il valore dell’intimità e il supporto spirituale che deriva dal passare il tempo con le persone che conosci meglio, saltando a bordo di un’auto, parlando di cazzate e condividendo le rispettive vulnerabilità mentre attraversi strade di campagna. Spirit 2.0 fonde neo-soul, jazz e breakbeat. È energica e complessa. aa
17. Miley Cyrus
Flowers
Dopo i risultati mediocri di Plastic hearts del 2020, il singolo di Cyrus sulla vita da single è diventato il suo più grande successo: dieci settimane al primo posto nel Regno Unito e otto settimane al numero 1 negli Stati Uniti, con 1,6 miliardi di ascolti su Spotify. Lanciata anche dalla spinta del gossip che ne ha accompagnato l’uscita nel giorno del compleanno dell’ex marito a gennaio, Flowers parla di amor proprio. Ma ha una melodia vocale così perfetta da far sembrare un miracolo il fatto che non sia stata scritta prima. bbt
18. Hudson Mohawke e Nikki Nair
Set the roof ft Tayla Parx
Il produttore statunitense Nikki Nair lima il suono massimalista di Hudson Mohawke nella traccia che dà il titolo al loro ep collaborativo, un 2 step garage elettrificato dal falsetto mutante di Tayla Parx e poi stirato all’esasperazione dalle torsioni di HudMo. ls
19. Boygenius
Not strong enough
Con questo inno pop-rock Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus hanno trovato la loro canzone più popolare, in ballo per tre delle loro sette nomination ai Grammy. “Non so perché sono come sono” è un verso abbastanza universale da parlare a migliaia di persone, mentre “always an angel, never a god” (sempre un angelo, mai un dio) merita di essere cantato negli stadi che senz’altro ospiteranno presto il supergruppo. bbt
20. The National
Smoke detector
La canzone più selvaggia che i National abbiano mai composto. Si aggroviglia nelle crepe della psiche del cantante Matt Berninger e testimonia l’esaurimento nervoso del frontman. Questa epopea di otto minuti ha classici tratti dei National, ma è anche un balzo in avanti. Nata durante un soundcheck, sembra statica, ma i dettagli la fanno percepire come un riflesso dell’iperconsapevolezza che accompagna la depressione. È un bollettino mormorato dalle profondità della disperazione che Berninger passa al setaccio in cerca di una fievole ombra di speranza. ls ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 99. Compra questo numero | Abbonati