Per la prima volta dal 1996, cioè da quando a Taiwan si tengono le elezioni presidenziali, il Partito democratico progressista (Dpp) si è aggiudicato un terzo mandato consecutivo. Lai Ching-te (nella foto), il vicepresidente uscente noto anche come William Lai, è stato eletto presidente il 13 gennaio con il 40 per cento dei voti. Poco rispetto al 56 per cento ottenuto da Tsai Ing-wen nel 2020, ma comunque un risultato storico. Lai in passato si era definito un sostenitore dell’indipendenza, ma i toni del suo discorso da vincitore sono stati moderati, in linea con l’atteggiamento prudente e a favore della linea seguita da chi l’ha preceduto. Pechino, che ha definito Lai “un piantagrane” e “un pericoloso indipendentista”, ha sottolineato che con il 40 per cento delle preferenze non si rappresenta l’orientamento della maggioranza della popolazione, mentre la riunificazione con la Cina continentale è “inevitabile”. Il governo cinese ha anche criticato i leader di Giappone, Stati Uniti e Regno Unito per essersi congratulati con il vincitore, chiedendo di stare fuori dagli “affari interni” della Cina. In realtà il presidente statunitense Joe Biden ha ribadito che Washington non sostiene l’indipendenza dell’isola. “Tutti e tre i partiti in gara hanno vinto qualcosa”, scrive su Nikkei Asia Yifeng Tao, docente di scienze politiche all’università nazionale di Taiwan. Il Dpp ha la presidenza, ma ha perso la maggioranza in parlamento, dove è il Kuomintang ad aver ottenuto più seggi. Il Partito popolare di Taiwan (Tpp), arrivato terzo, avrà quindi un ruolo decisivo nel processo legislativo. “Indipendentemente dalle riserve che si possono avere sul Dpp, il risultato e la natura pacifica del voto sono il trionfo della democrazia e un segno di speranza in un mondo impazzito”, scrive sul Guardian Michelle Kuo, docente all’università nazionale Chengchi di Taipei. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati