Quando Megan Davies aveva circa undici anni, per lei le cene di famiglia diventarono una vera tortura. Il motivo erano i rumori che facevano i genitori e i suoi sei fratelli: la masticazione, i risucchi e gli schiocchi con le labbra che capita di sentire a tavola. Cenare insieme significava “sentire rumori che mi facevano accapponare la pelle”, dice.
Questa sensazione l’avrebbe accompagnata per i successivi cinquant’anni: suoni comuni, che sono aumentati fino a includere battiti, clic e fruscii, scatenavano in lei attacchi di rabbia e disgusto. Davies, che oggi lavora come epidemiologa a Raleigh, nel North Carolina, è diventata abilissima nell’inventare scuse per sfuggire ad alcune situazioni. Ma le è sempre pesato. “Essere una persona così difficile mi faceva sentire in colpa”, dice.
Davies è affetta da un disturbo chiamato misofonia, che provoca emozioni estremamente negative in risposta a specifici suoni, spesso associati al mangiare e alla respirazione. Se soffri di misofonia hai la sensazione che questi suoni ti stiano entrando dentro, insinuandosi nel tuo cervello tanto da sembrare una violazione, dice Sukhbinder Kumar, un neuroscienziato dell’università dell’Iowa che studia questo disturbo. “È un’esperienza molto interiore, molto viscerale”, dice.
Si stima che più del 10 per cento della popolazione potrebbe soffrire di un certo grado di misofonia, anche se la gravità dei sintomi può variare parecchio. Qualcuno è infastidito da determinati suoni emessi da determinate persone, mentre per qualcun altro a scatenare il fastidio è una gamma di rumori e situazioni più ampia. Sebbene i collegamenti con altri disturbi non siano ancora chiari, chi soffre di misofonia potrebbe essere anche più soggetto a problemi di salute mentale come l’ansia o la depressione.
Nonostante la sua diffusione, fino a poco tempo fa c’erano poche ricerche sulla misofonia. Ma di recente c’è stata un’ondata di interesse scientifico, guidata dal Duke center for misophonia and emotion regulation (Cmer) del North Carolina e finanziata da organizzazioni come il Misophonia research fund. Nel 2022, 15 esperti del settore hanno pubblicato una definizione concordata di misofonia: “Un disturbo che comporta una ridotta tolleranza a suoni specifici o a stimoli associati a quei suoni”. È un passo avanti fondamentale per la ricerca e la cura. Nel frattempo, gli psicoterapeuti stanno cominciando a offrire trattamenti per la misofonia basati sulla terapia cognitivo-comportamentale, e la consapevolezza del disturbo sta crescendo: esiste perfino un podcast sulla misofonia.
Costretti a imitare
L’interesse scientifico sta aiutando a spiegare certi aspetti sorprendenti della sindrome, per esempio perché a volte sembra andare e venire. In alcuni casi i suoni innescano una reazione solo quando sono emessi dal proprio coniuge o quando si è già arrabbiati. La spiegazione, secondo una nuova ricerca, è che la misofonia non riguarda solo i suoni. “È possibile che sia il contesto a determinare la reazione, non solo i suoni stessi”, afferma Mark Zachary Rosenthal, direttore del Cmer.
In diversi casi gli stimoli irritanti innescano una reazione solo quando provengono dal coniuge o quando si è già arrabbiati
Questa scoperta conferma le ultime ricerche sulle basi neurologiche della misofonia. In uno studio pubblicato nel 2017, Kumar e i suoi colleghi hanno scansionato il cervello di venti persone che soffrivano di misofonia e di 22 soggetti di controllo mentre ascoltavano una serie di suoni, alcuni dei quali scatenavano la misofonia e altri no. Hanno così scoperto schemi diversi di attività cerebrale nelle persone affette da misofonia. “Non era una piccola differenza”, dice Kumar. “Era molto, molto chiaro”.
In risposta ai suoni irritanti, le persone che soffrivano di misofonia mostravano, tra le altre cose, un’attività molto più elevata nell’insula anteriore, la regione del cervello coinvolta nell’interocezione, cioè nella percezione di ciò che succede all’interno del nostro corpo, e nell’integrazione delle emozioni con i processi cognitivi. Nelle persone misofone, l’insula anteriore sembrava anche avere una connessione maggiore con le regioni del cervello responsabili delle emozioni e dell’attenzione. Queste connessioni insolitamente forti potrebbero in parte spiegare sia la risposta emotiva a determinati suoni sia il motivo per cui, quando si sente un certo suono, a volte si è incapaci di allontanarsi, spiega Mercede Erfanian, una neuroscienziata uditiva dell’Hashir international institute britannico.
Nel 2021 Erfanian e Kumar hanno pubblicato un altro studio basato sulle scansioni cerebrali di persone affette da misofonia e di soggetti di controllo mentre ascoltavano suoni che di solito scatenavano una reazione. Curiosamente, non hanno riscontrato nessuna differenza tra i due gruppi nell’attività della corteccia uditiva, ma una maggiore attivazione delle aree cerebrali coinvolte nel controllo della bocca e del viso tra i partecipanti affetti da misofonia. I ricercatori hanno registrato l’attività cerebrale anche mentre i soggetti erano distesi in silenzio. Nelle persone misofoniche, queste misurazioni a “riposo” hanno individuato maggiori connessioni tra la corteccia uditiva e la corteccia visiva e motoria.
Sulla base dei risultati che coinvolgono parti della corteccia motoria, Kumar pensa che la misofonia possa essere correlata a un fenomeno psicologico noto come mirroring, cioè l’imitazione inconscia dei movimenti delle persone che ci circondano, come per esempio assumere la stessa postura o replicare i movimenti delle mani di un interlocutore. Per un articolo pubblicato nel 2023 in via preliminare su PsyArXiv, Kumar ha intervistato centinaia di persone affette da misofonia e ha trovato prove del fatto che quelle con sintomi più gravi erano più propense a dire che imitavano le mosse e i suoni emessi dalle persone che producevano i rumori irritanti. Molti dei partecipanti hanno detto che spesso si sentono costretti a imitare qualsiasi azione produca i suoni irritanti e che farlo comporta sollievo, che si tratti di masticare rumorosamente o di battere i piedi.
Cancellare la connessione tra suoni ed emozioni potrebbe aiutare a superare le situazioni quotidiane che scatenano una reazione
I risultati dell’indagine dimostrano ulteriormente che il disturbo è legato a complessi segnali sociali e motori, dice Kumar. Tuttavia rimangono molte domande senza risposta, per esempio se le persone più inclini al mirroring quando socializzano hanno maggiore probabilità di soffrire di misofonia, o perché alcune si sentono più obbligate a imitare di altre.
Se il mirroring può spiegare in parte la misofonia, Kumar pensa che aiuti anche a capire perché chi ne soffre può essere irritato solo da determinate persone. In genere si imitano solo i gesti delle persone a cui ci si sente vicini, proprio come molti soggetti misofoni dicono di essere stimolati solo da chi conoscono. “L’imitazione non è automatica”, afferma Kumar. “Dipende dal rapporto sociale”.
Fuori controllo
Un altro mistero riguarda l’origine della misofonia. Prove aneddotiche fanno pensare che il disturbo cominci in giovane età. I risultati di uno studio basato sui dati dell’azienda di sequenziamento genetico 23andMe indicano che la sensibilità ai rumori della masticazione è associata a un locus genetico vicino al gene Tenm2, coinvolto nello sviluppo del cervello, quindi le origini della misofonia potrebbero risiedere almeno in parte nei geni. Ma secondo gli esperti probabilmente c’è anche una forte componente ambientale.
Rosenthal, che per formazione è uno psicologo clinico, propone una teoria in più fasi sullo sviluppo della misofonia. Potrebbe cominciare semplicemente come una sensibilità agli stimoli che rende più attenti a determinati suoni o azioni. Se a questo si aggiunge un ambiente in cui è più probabile che compaiano certi stimoli, come cene rumorose, abitazioni sovraffollate o altro, si creano le condizioni per vivere ripetute esperienze spiacevoli. “Tutti i fattori e gli stimoli presenti in quel contesto, nella memoria sono associati a una sensazione sgradevole”, dice.
Quindi esperienze molto specifiche e uniche possono far etichettare i fattori scatenanti come insopportabili. Rosenthal cita una paziente con il padre alcolista che la costringeva a guardare la tv insieme a lui dopo la scuola, un’esperienza fastidiosa a cui si aggiungeva il fatto che lui schioccava ripetutamente le labbra. La sensazione di essere intrappolati e torturati è in linea con il modo in cui molte persone affette da misofonia descrivono la loro reazione ai fattori scatenanti, anche se le esperienze formative non sono così estreme per tutti. “Penso che uno dei fattori chiave, se non il più importante, sia la ripetuta sensazione di incontrollabilità di fronte alla stimolazione avversiva”, afferma Rosenthal.
Una volta che un’esperienza e un fattore che scatena la reazione sono collegati, la mente può entrare in un ciclo di ipervigilanza che rafforza l’associazione tra il suono e l’esperienza negativa. Le strategie di resistenza che si imparano in quel momento, ma anche il feedback dell’ambiente e delle persone intorno, determinano la futura reazione ai fattori scatenanti, creando le basi per la misofonia. Questo processo di associazione dei suoni a situazioni specifiche suggerisce anche un modo per curare il disturbo, dice Rosenthal. Disimparare la connessione tra suoni ed emozioni, o almeno attutire il feedback, potrebbe aiutare a superare le situazioni quotidiane che scatenano la reazione.
Due studi recenti forniscono prove a sostegno di questa idea. Il primo, pubblicato nel 2022 su Frontiers in Psychology, ha dimostrato che le persone affette da misofonia trovavano meno irritanti fattori scatenanti comuni, come il rumore di persone che annusano o mangiano, quando erano associati a cause palesemente non umane, come un video che mostra una scopa strofinata sul pavimento.
Da un articolo pubblicato su Frontiers in Neuroscience nel 2023, di cui Rosenthal è coautore, è emerso che chi soffre di misofonia trova gli schiocchi delle labbra meno fastidiosi quando sono associati a immagini incongrue, come un video di qualcuno che lavora un impasto in una ciotola. “Probabilmente la scoperta più interessante è che il contesto, e non solo il suono, può influire sulla reazione”, afferma Rosenthal. “Non è sempre possibile controllare i suoni prodotti dagli altri, ma si può controllare il contesto”.
Cambiare prospettiva
Le nuove ricerche suggeriscono la possibilità di trovare trattamenti per la misofonia basati sull’evidenza. Sulla base delle terapie cognitivo-comportamentali esistenti, bisogna prima individuare i comportamenti specifici che i pazienti vogliono cambiare, che si tratti della loro reazione al momento, dell’ansia provocata dall’anticipazione dei fattori scatenanti, di strategie adattative malsane o di altro. Quindi, i terapeuti lavorano con i pazienti per analizzare, comprendere e ridurre le loro reazioni.
Questo tipo di terapia mirata ha cambiato la vita di Davies. Ha scoperto Rosenthal e il Cmer nel 2019, e alla fine del 2020 ha cominciato una serie di sedute di un’ora alla settimana con un terapeuta. Le strategie che ha imparato hanno trasformato situazioni un tempo intollerabili in sfide gestibili.
Un esercizio utile è cambiare l’interpretazione dei fattori scatenanti. Per esempio, se qualcuno masticava rumorosamente una gomma, in precedenza Davis pensava che era un maleducato. Ora cerca di vedere in modo diverso la situazione. Forse quella persona non si rende conto dell’effetto del suo comportamento, o “forse ha la bocca molto secca oppure ha mal di gola, e la gomma l’aiuta”, dice.
Gli studi clinici sull’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale per la misofonia non sono stati ancora pubblicati, ma Rosenthal dice che il Cmer sta progettando un piccolo studio randomizzato che comincerà nel 2024. Le prime indicazioni sono promettenti. “Sta funzionando molto, molto bene”, spiega. “Riscontriamo miglioramenti costanti”.
I ricercatori del Cmer stanno anche esplorando altre possibilità di trattamento, come la neurostimolazione, che consiste nel colpire regioni specifiche del cervello con piccole scosse elettriche.
Rosenthal sottolinea che anche se la conoscenza della misofonia è aumentata servono altri progressi. Per esempio, non esiste ancora una diagnosi ufficiale né un codice di classificazione internazionale che consenta di raccogliere statistiche ufficiali e semplifichi la copertura assicurativa del trattamento.
Ma chi soffre di misofonia può comunque ottenere assistenza e cure su misura. Un tempo gli psicoterapeuti sottovalutavano il malessere delle persone che ne erano affette perché il disturbo non aveva un nome, e le accusavano di inventarsi tutto. Oggi persone come Davies hanno finalmente a disposizione gli strumenti per fare qualcosa di più che sopportare il loro disagio.
Davies dice di aver recentemente superato quello che chiama “l’esame finale”: un convegno accademico di tre giorni. Mentre una volta lasciava le sale conferenze se i suoni la irritavano troppo, ora cerca di osservare e mettere a fuoco le sue reazioni. “È sorprendentemente efficace”, afferma. “Ora non devo più rinunciare a qualcosa per paura di un suono”. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati