La saga norvegese di Kristin Lavransdatter è fatta di centinaia di pagine di solitudine. La protagonista lotta per mantenere l’ordine sia nel regno terreno sia in quello celeste. La Norvegia del quattordicesimo secolo ricreata da Sigrid Und-set (Nobel per la letteratura nel 1928) non è così diversa da quella di oggi. Le uniche differenze sono negli oggetti di scena. Undset uccide gli uomini con un’accetta e tiene in considerazione la potenza di Dio più degli scrittori moderni, ma quelli che ci racconta, al di là del suo travestimento medievale, sono i dilemmi della “donna nuova”, creatura utopica dei primi del novecento. Kristin Lavransdatter richiama alla mente problemi che le donne continuano ad avere oggi. L’eroina Kristin è colei che infrange la legge: sceglie un fidanzato approvato dal padre ma poi sposa l’uomo che ama. Questo significa che non può più aspettarsi la pietà di nessuno. La prova della sua trasgressione è che il suo primo figlio, “il frutto del peccato”, nasce troppo presto e nella vergogna. Sarà un figlio ribelle. Kristin è consumata dall’eterno senso di colpa delle donne nonostante sia una moglie esemplare: ha fatto sette figli sani, ha fede in Dio ed è sempre cosciente dei suoi doveri. Ma non basta mai. Perché Kristin Lavransdatter ha voluto un uomo che ha osato sfidare apertamente la legge, un nuovo tipo di uomo per un nuovo tipo di donna più libera. Che dovrà aspettare parecchio, almeno settecento anni.
Ulrika Milles, Dagens Nyheter
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati