Nonostante la scrittrice Jessa Crispin abbia rotto i ponti con la sua infanzia e il suo passato, ha sentito il bisogno di affrontare alcuni vecchi fantasmi. Era fuggita dal Kansas per trasferisrsi a New York e a Berlino ma qualcosa le diceva che per capire l’America di oggi doveva tornare nella sua terra d’origine. Il suo ultimo libro, I miei tre papà, combina memoir e critica culturale per stanare non solo i fantasmi che infestano la sua casa, ma anche la sua testa, le vie della città, le scuole americane e i dibattiti delle elezioni presidenziali. Siccome non c’era abbastanza salvia da bruciare per scacciare tutti questi spiriti, lei ha deciso di scrivere un libro. Se il paese pullula di gente ansiosa di dettare regole su cosa dovremmo dire, leggere o comprare per tornare a quella che considerano uguaglianza, Crispin imbocca una strada più analitica e meno normativa. Nei tre saggi che compongono il libro si rivolge al passato e critica i tre “papà” che lei vede come emblematici dell’identità americana: John Brown, Martin Lutero e il suo insegnante d’arte a scuola. Usando questi “papà” come casi clinici Crispin discute le varie maniere con cui gli uomini usano politicamente la violenza contro le donne. I miei tre papà scava a fondo ed estrae e analizza tutte quelle opinioni, quelle convinzioni che stanno spaccando l’America bianca.
Brianna Di Monda, The Nation

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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati