Neige Sinno non crede nel valore terapeutico della letteratura. La letteratura non salva. Per anni non l’ha salvata dai ripetuti stupri del suo patrigno. Tuttavia scrive perché il suo paese d’elezione è il romanzo. Ma per raccontare quello che le è successo sceglie la testimonianza, il racconto in prima persona, senza la certezza di avere ragione. L’autrice intraprende una critica ragionata e severa del concetto di resilienza. La sopravvissuta sopravvive ma non dimentica mai; questa realtà è così forte che blocca gli altri ricordi. Il titolo è ispirato alla poesia di William Blake The tyger, costruita sotto forma di domande senza risposta, dove la violenza del predatore (la famosa fearful symmetry, la paurosa simmetria del suo sguardo) pone un enigma scottante all’universo. La tigre è tanto affascinante quanto crudele. È l’enigma del male e dell’attrazione inconfessata che proviamo per i mostri. La bambina diventata adulta capisce che la predazione sessuale tocca il cuore della dominazione, e ha questa intuizione luminosa: “Essere un mostro quando la società ti guarda significa essere un subumano, ma quando nessuno vede è il contrario, sei un re”. Dicendo che il suo libro è inutile, che è fatica sprecata, Sinno riesce comunque a esprimere qualcosa, con distacco e slanci di umorismo. Sa che il tabù non è tanto lo stupro in sé quanto il fatto di parlarne. La letteratura non si limita alla narrazione, è un atto offensivo e insieme difensivo che rende la lettura una vera esperienza.
Tiphaine Samoyault, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati