Anche se non ho mai visto una prefica, una donne pagata per piangere ai funerali, la mia famiglia viene da una parte della Cina che conserva quella tradizione. La protagonista del romanzo di Wenyan Lu è una donna povera nella Cina rurale di oggi che, a causa del suo lavoro di prefica, viene ostracizzata. Come per altre decisioni fondamentali che prenderà nel corso della storia, nessuno l’aveva obbligata ad accettare questo lavoro “che puzzava di morte”. Una serie di circostanze la spinge ad agire con stoica inevitabilità. Suo marito è troppo orgoglioso per mettersi ad allevare polli o maiali e la sua pigrizia lo tiene lontano da qualunque lavoro. Lei sa di avere una bella voce e che piangere le viene facile. Nel descrivere le sue giornate, la prosa di Lu è disadorna e dà a ciascun capitolo una qualità onirica e quasi ascetica. “Non si parlava di felicità nel nostro villaggio”, dice lei, “bastava non essere infelici e la vita era normale”. Le osservazioni in questa storia sono quasi banali e ingenue ma allo stesso tempo profonde nella loro vacuità. Un lettore occidentale potrebbe vederci dell’ironia, ma chi conosce i dogmi e gli obblighi della Cina rurale riesce a cogliere il lato tragico di questa totale mancanza di ambizione e di amore di sé. L’effetto di accumulo di tutte queste piccole, feroci osservazioni porta a un punto di rottura che fa pensare a uno di quei drammi in costume che il marito della protagonista consuma passivamente davanti alla tv.
Connie Wang, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati