Il kintsugi è una tecnica giapponese che consiste nel riparare oggetti di ceramica rotti con una colata di oro o di platino fusi. In questo modo si enfatizzano le crepe e le saldature anziché nasconderle, rendendo in qualche modo onore alla storia unica di quell’oggetto. La poeta bosniaca Senka Marić ha intitolato il suo primo romanzo Corpo kintsugi perché il suo corpo fatto a pezzi da una malattia alla fine sopravvive, segnato da cicatrici. Marić parla del cancro al seno che le fu diagnosticato nel 2014, all’età di 42 anni. Quando l’autrice si tasta un nodulo al seno è l’inizio di un’esperienza catastrofica. Tutto sembra caderle addosso: il suo corpo e la realtà stessa si riducono a frammenti di terrore e dolore tra procedure mediche alienanti. Gradualmente però ritrova le parole che aveva perso: la narratrice comincia un dialogo con se stessa grazie all’uso della seconda persona singolare che riesce a essere intima creando la distanza giusta: molto di rado leggiamo frasi che cominciano con “io”. Marić scrive al passato, poi passa al presente, facendoci ripiombare in una storia in divenire per poi aggiungere ricordi della sua infanzia e giovinezza. L’atto di ricordare diventa così una ricerca di connessioni dove la malattia aveva fatto saltare tutte le coordinate del suo io. Alla fine Marić riesce a evitare il racconto puramente individuale di una lotta solitaria premiata dalla guarigione. La sua non è la storia di un’eroina, ma una toccante testimonianza letteraria.
Carola Ebeling, Die Tageszeitung

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati