Nei nove racconti magistrali della raccolta di Dimosthenis Papamarkos, il sangue – ghiak in arvanitico – costituisce il legame profondo che unisce gli albanesi della Locride, nel nord della Grecia. Il sangue è il prezzo che paga la coscienza e che plasma intere comunità, non solo quella arvanitica. I protagonisti, reduci dalla guerra greco-turca del 1919-1922, in Asia Minore, sono segnati da ciò che hanno vissuto, dalla sconfitta, e condizionati da quello che la collettività si aspetta da loro. Dagli eroi dell’Iliade in poi, la convivenza in guerra – elemento che lega queste storie – modella le coscienze. Impone princìpi non scritti, come pudore e rispetto. Ma questi valori, nella narrazione di Papamarkos, confondono azioni detestabili con atti d’onore: un conto è uccidere senza motivo, come fa zio Kotsos, o per follia, come Arghiris; un altro è uccidere per vendetta, come in Ti taglierò le trecce. In questo cerchio violento e maschile entrerà alla fine anche una donna, spinta a superare il proprio ruolo femminile e a trasformarsi in un essere soprannaturale. Nei racconti di Papamarkos, che riparte e modernizza la tradizione orale, la tensione è data dall’ideale del protagonista solitario. E nel caso dell’incantatore errante la narrazione orale s’impone come racconto in prima persona, diventando un piccolo diamante. Arricchita da elementi singolari e gotici, questa raccolta risulta moderna e innovativa quanto quella dei più grandi autori greci di racconti.
Tina Mandilarà, Lifo

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati