Il narratore occasionale del terzo romanzo dello scrittore angloindiano Sunjeev Sahota è isolato e alienato: ha 18 anni ed è dipendente dall’eroina. Il suo racconto di un’estate passata nel Punjab rurale s’intreccia alla storia in terza persona di una giovane donna del 1929 che, più avanti, scopriremo essere la sua bisnonna. Il narratore cerca di vincere la sua tossicodipendenza andando a far visita a suo zio nel Punjab prima di cominciare l’università a Londra: con sé ha solo del whisky e una pila di libri, tra cui Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, Le piccole virtù di Natalia Ginzburg e una biografia di Leonora Carrington. Ma a farla da padrone nel romanzo è la storia della sposa sedicenne Mehar, che vive con altre due ragazze nella “stanza delle mogli”. Tutte e tre sono state date in sposa a tre fratelli e sono lì in attesa che la matriarca, Mai, gli dia l’ordine di recarsi nella camera da letto dove le aspettano i rispettivi mariti. Quello che accade dopo sarà un inganno di tipo shakespeariano, anche se i dettagli vengono appena accennati. Sahota ha detto che La stanza delle mogli è ispirato alla storia della sua famiglia, ma il romanzo mantiene una sottile aria di irrealtà e di favola.
Alex Clark, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati