Diciamolo chiaro fin dall’inizio: le quattro sonate per violoncello solo di Mieczysław Weinberg sono un contributo importante alla letteratura dello strumento. La loro composizione abbraccia un quarto di secolo: la prima sonata, del 1960, è scritta per Mstislav Rostropovič; l’ultima è del 1986 ed era un regalo di compleanno per Valentin Berlinskij (violoncellista del Quartetto Borodin). La scrittura di Weinberg rende giustizia alle possibilità tecniche ed espressive del violoncello. L’ineludibile antecedente bachiano si fonde con la natura ibrida tipica del ventesimo secolo. In Weinberg la mescolanza di varie suggestioni crea una drammaturgia imprevedibile ma non per questo meno netta. Tragedia, veemenza, lirismo e solitudine: tutto nella stessa sonata e spesso nello stesso movimento. Colpisce che tre delle quattro sonate si concludano con un movimento veloce in sordina, come se Weinberg cercasse un anticlimax: è il segno paradossale di un compositore la cui voce più autentica è stata messa a tacere per decenni dal nazismo e dallo stalinismo. Brunello non ha solo tutte le virtù tecniche necessarie per queste pagine, ma rivela una forte affinità con i sentimenti di un musicista finalmente riconosciuto tra i grandi creatori della seconda metà del novecento.
Stefano Russomanno, Scherzo
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Questo articolo è uscito sul numero 1567 di Internazionale, a pagina 114. Compra questo numero | Abbonati