Sono proibiti dalla Bibbia e dalla dottrina ebraica, e per la maggior parte dei musulmani rappresentano un haram, un peccato grave, un tabù. Nonostante questo, tatuaggi, scarificazioni e altre forme di intervento sul corpo non sono mai state così diffuse come oggi. Per migliaia di anni in tutto il mondo la pelle delle persone è stata usata come se fosse una tela, facendo spazio all’espressione artistica, e rivelando codici sociali e culturali. Ötzi, conosciuto come “l’uomo venuto dal ghiaccio”, risalente a più di cinquemila anni fa, era tatuato, così come due mummie ancora più antiche trovate nell’Alto Egitto, spiegano Lars Lindemann e Paolo Woods, curatori della mostra The body as a canvas esposta al festival di fotografia Cortona on the move.

La mostra presenta opere di vari fotografi mescolando generi diversi: dalla ricerca antropologica alla street photography, dal ritratto alla foto d’archivio. Tra i lavori esposti ci sono quello di Chloé Jafé sui tatuaggi della yakuza, la mafia giapponese; l’indagine di Klaus Pichler sulla cultura del tatuaggio carcerario in Austria e Germania; i ritratti di Denis Rouvre realizzati in Brasile a persone che hanno scelto di modificare il proprio corpo, spesso in modo irreversibile; il lavoro del tatuatore e fotografo tedesco Herbert Hoffmann nel suo studio di Amburgo; i ritratti di Charles Fréger e le foto di Florian Spring realizzate durante i rituali di scarificazione in Papua Nuova Guinea. ◆

Ritratto realizzato da Herbert Hoffmann. Nel 1961 Hoffmann acquistò un negozio di tatuaggi ad Amburgo diventando famoso anche fuori della Germania. Nell’arco di tre decenni ha ritratto con una Rolleiflex quasi quattrocento persone tatuate. (Herbert Hoffmann courtesy Galerie Gebrüder Lehmann)
Papua Nuova Guinea, un gruppo di uomini del popolo iatmul dopo un rito d’iniziazione, in una foto di Florian Spring. La scarificazione crea dei segni che riprendono la corazza del coccodrillo, visto come il creatore del mondo. (Florian Spring)
Tra gli anni cinquanta e ottanta Klaus Pichler ha fotografato più di cento detenuti tatuati. Una pratica vista come segno di ribellione. (Klaus Pichler)
Un’immagine di Hanne Zaruma che nel suo lavoro si muove tra realtà e mondo digitale, abbatte i confini tra corpo e tecnologia, e documenta con ironia la diffusione del transumanesimo nella società. (Hanne Zaruma)
Un ritratto scattato da Mark Leaver, che negli ultimi nove anni ha fotografato persone con il volto tatuato in tutto il Regno Unito. Nel corso del tempo Leaver ha assistito alla trasformazione dei corpi e delle vite delle persone davanti al suo obiettivo. Tatuarsi il viso è una decisione estremamente personale guidata da molteplici e complesse motivazioni, ma questa scelta, che cambia la vita, spesso crea tra chi la fa un legame e un raro senso di appartenenza. (Mark Leaver)
Dalla serie Soho unlocked tattoos, in cui il fotografo britannico Dougie Wallace ha ritratto persone che vivono o frequentano il quartiere londinese di Soho. (Dougie Wallace)
Livia Ravek, sopravvissuta ad Auschwitz, ritratta da Uriel Sinai con il nipote Daniel Philosoph il 31 agosto 2012, a Bnei Zion, in Israele. Il nipote si è fatto tatuare il numero 4559 che fu inciso sul braccio della nonna quando fu deportata nel campo di concentramento più di sessant’anni prima. (Uriel sinai)
Una foto della serie Camouflages di Charles Fréger, composta da ritratti di soldate e soldati, con il volto dipinto, del reggimento di artiglieria della marina stanziato vicino a Rennes, in Bretagna, Francia. (charles fréger)
In un bagno pubblico tradizionale (sento), a Takamatsu, Giappone, 2016. La fotografa Chloé Jafé ha vissuto sette anni nel paese documentandone aspetti poco conosciuti. (Chloé Jafé)
La mostra e il festival

◆La mostra The body as a canvas è esposta al festival di fotografia Cortona on the move, che si svolge nella cittadina toscana fino al 3 novembre 2024. Il tema di questa edizione è Body of evidence, il “corpo da scoprire, da osservare e mettere a nudo. Un luogo di piacere, ma anche di dolore, vulnerabile e potente allo stesso tempo”, come ha spiegato il direttore artistico del festival Paolo Woods. Sono esposti tra gli altri i lavori di Carmen Winant, Valery Poshtarov, Szabolcs Barakonyi e Alessandro Cinque. Oltre alle mostre sono in programma incontri e letture portfolio.


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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati