A due settimane dalle elezioni presidenziali in Venezuela, il regime di Nicolás Maduro appare in pericolo. L’arsenale antidemocratico usato contro i candidati dell’opposizione si è esaurito proprio ora che il voto del 28 di luglio si sta trasformando in un referendum sull’attività del governo. I sondaggi indicano che la maggioranza della popolazione è esasperata da un’economia al collasso e dalle violazioni dei diritti umani che hanno provocato la fuga dal paese di più di otto milioni di persone, circa un terzo della popolazione.

Lo sfidante di Maduro è il diplomatico in pensione e neofita della politica Edmundo González Urrutia, che con grande rispetto lo chiama “presidente”, non si abbandona a dichiarazioni revansciste e promette di risanare l’economia. A luglio un sondaggio ha rilevato un gradimento del 27,3 per cento per Maduro e del 68,4 per cento per González. Ma in Venezuela i sondaggi non sempre anticipano il risultato delle urne. L’apparato statale messo in campo e la coercizione esercitata dal regime potrebbero neutralizzare le tendenze attuali. Ma il caudillo ha sottovalutato la capacità dell’opposizione di compattarsi intorno al nome di uno sconosciuto, proposto dalla Piattaforma democratica unitaria.

Maduro ha ignorato la sua crescente impopolarità, dovuta alla stanchezza per un modello di governo autoritario e violento, su cui indaga anche la Corte penale internazionale. Detto questo, è innegabile che il regime abbia ancora gli strumenti per perseguitare gli oppositori e alterare le elezioni. In passato il chavismo si è dimostrato abile nell’usarli anche sotto la pressione dell’indignazione popolare e delle sanzioni internazionali.

Per non parlare della forza bruta, militare e paramilitare, che sarà sempre a disposizione di qualsiasi dittatore voglia conservare il potere attraverso la violenza. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati