Non potrei essere più ambiguo sulla riunificazione degli Oasis. Non sono un fan sfegatato, di quelli convinti che fossero la più grande band della loro epoca, ma neanche un critico convinto che il loro conservatorismo musicale e la loro passione per la bandiera britannica abbia preannunciato la Brexit. I loro primi due album, i singoli e i lati b erano fantastici. E il debutto Definitely maybe oggi suona più potente che nel 1994. Ma Definitely maybe e (What’s the story) Morning glory? sono una parte della loro storia. Se gli eccessi di Be here now del 1997 tutto sommato conservano un po’ di fascino, da lì in poi il gruppo è sembrato stanco, alla vana ricerca dell’identità perduta. E pensando alla reunion per una serie di concerti nell’estate del 2025, che arriverà a sedici anni dallo scioglimento, vale anche la pena di far notare che dal vivo a volte erano grandiosi, ma altre erano terribili. Quindi il ritorno degli Oasis potrebbe andare in entrambi i modi. Il successo commerciale è assicurato: perfino gli album più mediocri hanno venduto milioni di copie; inoltre la folla presente agli spettacoli da solista di Liam e i dati sullo streaming dei brani suggeriscono che gli Oasis sono tra le poche band loro coetanee a raggiungere gli ascoltatori più giovani. Non siamo sicuri al 100 per cento di come andrà. Ed è per questo che bisognerà esserci.
Alexis Petridis, The Guardian

Gli Oasis, nel 1994 (Koh Hasebe, Shinko Music/Getty)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati