Per molti il cricket è una delle eredità meno dolorose dell’imperialismo britannico, uno sport che unisce ricchi inglesi e giocatori delle baraccopoli di Kingston in Giamaica o Kolkata in India. Ma a Monfalcone il cricket è diventato un caso politico. In questo paese del nordest d’Italia circa un terzo dei 28mila abitanti è di origine bengalese. Quasi tutti gli uomini sono arrivati qui per lavorare nei cantieri navali e molti sono appassionati di cricket. Eppure non possono praticarlo, racconta Sani Bhuiyan, consigliere comunale del Partito democratico (Pd): “Il cricket è vietato, se giochi rischi una multa”. Quando la polizia municipale ha cominciato a fare le multe Anna Maria Cisint, della Lega, era ancora sindaca di Monfalcone. Ha negato che all’origine dei provvedimenti ci fosse la non italianità del cricket o il fatto che molti dei praticanti siano immigrati: “È solo che in alcuni spazi pubblici, come succede ovunque, sono vietati atti potenzialmente capaci di danneggiare cose o ferire persone”. La palla da cricket è indubbiamente dura e può essere lanciata a grande velocità da battitori abili, ma è altrettanto vero che vicino a Monfalcone, un’amministrazione del Pd non ha avuto difficoltà a trovare una sede per un torneo.
Già in precedenza Cisint aveva preso di mira i migranti. Da sindaca aveva fatto togliere alcune panchine usate dai bengalesi. Inoltre aveva vietato di pregare nei centri islamici della città. I cittadini originari del Bangladesh, che non hanno una moschea, erano riusciti a far annullare il divieto dal tribunale. Ma le politiche di Cisint hanno premiato la sindaca e il suo partito. Alle elezioni europee ha ottenuto un seggio a Bruxelles e ne mantiene uno nel consiglio comunale della cittadina. Secondo Cisint gli abitanti di Monfalcone sono stanchi “della arroganza della comunità islamica”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati