Siamo a Kiev, nella primavera del 1919. Dopo aver ritrovato una fragile indipendenza dall’impero zarista, l’Ucraina è già alle prese con l’invasione dell’armata rossa e diventa il teatro di scontri sanguinosi tra i cosacchi, l’armata bianca sostenuta dalle potenze dell’Europa occidentale, gruppi di dissidenti e i combattenti bolscevichi. È in questo mondo caotico, di paura e di sangue, che ritroviamo Samson Kolecko, il protagonista della Trilogia di Kiev, qui al secondo capitolo. Giovane orfano dall’orecchio mozzato, è un commissario del popolo impegnato nelle milizie degli operai e dei contadini, con l’incarico di indagare su crimini e delitti. E un’indagine lo porta a contatto con una curiosa galleria di personaggi tra cui un soldato cinese dell’armata rossa appassionato di orecchie di maiale affumicate, una giovane polacca che traffica nel mercato della carne, un medico, un fotografo, un agente della Čeka (la polizia politica antenata del Kgb) e un cittadino comune, Briskin, accusato di aver creato una rete per il contrabbando di carne che finisce al centro dell’inchiesta di Kolecko sul mercato nero. L’autore del fortunato Api grigie, riesce a raffinare e a espandere ulteriormente il suo affresco sociale su un mondo inesorabilmente in declino. Il materiale narrativo, pieno di speranze, sentimenti e umanità, è ideale, anche se forse Kurkov è meno animato dal fuoco sacro che ha reso potente e unico il primo capitolo della trilogia, L’orecchio di Kiev.
Thierry Clermont, Le Figaro

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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati