Puntigliosamente educata e garbatamente offensiva, l’autobiografia di Quentin Crisp oggi ci fa sussultare. Crisp racconta la sua vita di provocatore omosessuale, uno struzzo favolosamente piumato con gli occhi bistrati. Quando camminava per le strade di Londra sembrava voler attirare apposta sberleffi e attacchi anche violenti. Negli anni venti del novecento, quando Crisp decise di esibire al mondo il suo peccato, erano ben poche le persone disposte a capirlo. “L’esibizionismo è come una droga”, dice, e una volta che lo si era provato non era possibile tornare a nascondersi, neanche nello stato di povertà in cui si trovava Crisp, visto che nessuno era disposto a dargli un lavoro. Se lavorava lo faceva come modello o come artista commerciale e viveva in squallide stanze in subaffitto adattandosi sempre, anche perché “dopo i primi quattro anni la sporcizia non peggiora”. Crisp si descrive come il più mite degli uomini, cresciuto con la certezza di essere inferiore a qualunque eterosessuale incontrasse. Questa convinzione lo porta a una strana inversione di valori, cupa come in Jean Genet ma espressa con la leggerezza di Oscar Wilde. È un uomo che detesta i fiori a meno che non siano finti, odia gli animali perché le persone sono già cattive abbastanza e arriva alla conclusione che tutto quello che viene fatto per soldi è sacro e quello che viene fatto per amore è una sciocchezza.
Kirkus Reviews
Questo nuovo magnifico romanzo di Percival Everett capovolge la prospettiva di un classico della letteratura americana: Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain. Ci racconta la storia attraverso la narrazione in prima persona di Jim, lo schiavo fuggiasco del romanzo. Le avventure dei due ragazzi sulla zattera alla deriva lungo il Mississippi dal punto di vista di Huck erano uno spasso. Da quello di Jim, scusate James, sono invece un affare serissimo. Ricordiamo infatti che, nel romanzo di Twain, Jim aveva detto a Huck di averne abbastanza di “avventure”. Il James di Everett è infatti un guerriero, anche se molto umano e un po’ riluttante. A romanzo finito avrà ucciso degli uomini, liberato altri schiavi e dato fuoco a una piantagione, e sarà una leggenda sulla bocca di tutti. Everett fa di lui anche un vorace lettore: James capisce immediatamente che la Bibbia è uno strumento dei suoi oppressori e intrattiene lunghi dialoghi interiori con Jean-Jacques Rousseau, Voltaire e John Locke. James è istruito e scrive molto, una cosa pericolosa visto il linciaggio subìto da uno schiavo che ruba per lui un mozzicone di matita. Quello che rende James un romanzo superiore rispetto ai lavori precedenti di Everett è l’umanità amplificata al massimo. È il suo romanzo più appassionante ma anche quello più ricco di anima. Sotto la sua lingua pirotecnica Percival Everett nasconde un essere umano descritto con grande intensità.
Dwight Garner, The New York Times
Nel suo impressionante terzo romanzo, Blandine Rinkel, nata nel 1991 e cantante e danzatrice nel collettivo Catastrophe, tratteggia il ritratto di un padre. Gérard incoraggia sua figlia Lou a diventare come lui, senza paura; la convince che “il dolore non è un ostacolo” e che la morte è solo “un dettaglio”. Gérard non ha educato Lou, l’ha indurita. Per la ragazza è stata una maledizione o un vantaggio? Lou farà attenzione a non deciderlo mai. Ma chi è Gérard? Un poliziotto allergico alla polizia che abita nella Vandea, un “divertente psicopatico” baffuto. L’uomo è pazzo ma, appunto, divertente. Il romanzo descrive questo dualismo e osserva la violenza da diversi punti di vista, senza farne un oggetto degno solo di condanna. È come se per ogni situazione descritta, l’autrice lanciasse in aria una moneta per vedere quale faccia esce. Testa: la brutalità, croce: la vitalità; testa: la rabbia, croce: il desiderio; testa: l’incoscienza, croce: il coraggio. Gérard può passare improvvismente da un eccesso al suo opposto e questa mutevolezza è una minaccia per tutta l’infanzia di Lou. Come lei stessa sottolinea all’inizio della storia “la tenerezza non ti protegge da niente”. E il fatto che lui la ami, si occupi di lei e sia il suo compagno di giochi preferito non significa necessariamente che la difenderà e la proteggerà. Cosa significa dunque essere la figlia di un uomo così e averlo così tanto amato? Pur raccontando cosa lui le ha lasciato, il libro descrive la dissoluzione del loro patto.
Raphaëlle Leyris, Le Monde
Il ministero del tempo è un romanzo in cui succedono tantissime cose, tutte appassionanti da leggere e interessanti quando ci si ripensa. Viene definito speculative fiction ma è più divertente pensarlo come 50 per cento thriller di fantascienza e 50 per cento commedia romantica. È infatti la storia d’amore tra un’impiegata pubblica annoiata in una Londra del prossimo futuro e il comandante Graham Gore, parte di una disgraziata spedizione al polo nord. Gore era stato visto per l’ultima volta vagare tra i ghiacci nel 1847, salvato per un pelo da un governo del ventunesimo secolo che cercava di sondare i limiti dei viaggi nel tempo. Gore è un expat: una di quelle persone molto confuse trascinate dal passato al futuro che hanno un serio problema con il “qui e ora”. La storia che si sviluppa tra i due protagonisti, l’expat del tempo e una burocrate senza nome, è piena di speranza: la speranza che le persone possano diventare qualcosa di diverso da ciò che erano convinte di essere.
Ella Risbridger, The Guardian
Siamo a Kiev, nella primavera del 1919. Dopo aver ritrovato una fragile indipendenza dall’impero zarista, l’Ucraina è già alle prese con l’invasione dell’armata rossa e diventa il teatro di scontri sanguinosi tra i cosacchi, l’armata bianca sostenuta dalle potenze dell’Europa occidentale, gruppi di dissidenti e i combattenti bolscevichi. È in questo mondo caotico, di paura e di sangue, che ritroviamo Samson Kolecko, il protagonista della Trilogia di Kiev, qui al secondo capitolo. Giovane orfano dall’orecchio mozzato, è un commissario del popolo impegnato nelle milizie degli operai e dei contadini, con l’incarico di indagare su crimini e delitti. E un’indagine lo porta a contatto con una curiosa galleria di personaggi tra cui un soldato cinese dell’armata rossa appassionato di orecchie di maiale affumicate, una giovane polacca che traffica nel mercato della carne, un medico, un fotografo, un agente della Čeka (la polizia politica antenata del Kgb) e un cittadino comune, Briskin, accusato di aver creato una rete per il contrabbando di carne che finisce al centro dell’inchiesta di Kolecko sul mercato nero. L’autore del fortunato Api grigie, riesce a raffinare e a espandere ulteriormente il suo affresco sociale su un mondo inesorabilmente in declino. Il materiale narrativo, pieno di speranze, sentimenti e umanità, è ideale, anche se forse Kurkov è meno animato dal fuoco sacro che ha reso potente e unico il primo capitolo della trilogia, L’orecchio di Kiev.
Thierry Clermont, Le Figaro
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