Nel 2000 il naturalista statunitense Jonathan C. Slaght stava facendo trekking nella remota provincia di Primorye, nella Russia orientale, quando sentì qualcosa tra le fronde. Era un gufo, ma diverso da tutti quelli che aveva visto, era un raro gufo pescatore di Blakiston, grande come un’aquila. Dopo questo incontro Slaght torna da quelle parti varie volte e I gufi dei ghiacci orientali è il racconto, in forma narrativa, delle sue missioni di ricerca a caccia di questo magnifico e raro volatile. Slaght riesce a descrivere il suo lavoro sul campo con toni poetici e coinvolgenti: il gufo è sfuggente e passano anni prima che possa vederne e toccarne un altro. È una ricerca solitaria e frustrante che però riesce a non annoiare mai il lettore. Non è solo la bizzarria del gufo a tenerci sulla pagina, ma anche la varietà di esseri umani che popolano quella remota e gelida regione. È una terra in cui si mangia carne di alce, si beve vodka da due soldi e ci si ritrova in saune per soli uomini. I russi intorno a lui si schiantano sugli spazzaneve, vengono chiusi a chiave dalle mogli perché non bevano ed essiccano peni di renna da usare in pozioni contro l’impotenza. Slaight documenta tutto con lo stesso distacco da studioso con cui descrive le abitudini del suo inafferrabile gufo dei ghiacci. La povertà, il lento suicidio dell’alcolismo e il pericolo di essere assaltati dalle tigri sono tutte cose che fanno parte della vita di questa gente. Eppure I gufi dei ghiacci orientali è anche un libro pieno di speranza e di valore scientifico.
Clement Knox, The Sunday Times
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1587 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati