Il passaggio tra i venti e i trent’anni è davvero poco interessante, a meno che un autore o un’autrice non abbiano il talento di renderlo labirintico, incerto e privo di vergogna. Tagliare il nervo è un’investigazione sensibile e spietata del disorientamento di una giovane donna che oggi è una nota documentarista. Racconta una fuga frustrante e una cocente delusione, l’innocenza di aver trovato qualcosa d’importante però transitorio (anche se si tratta solo di un uomo) e poi il fallimento e il sospetto che quel fallimento non sia colpa della fauna di maschi che la circondano ma delle fantasie che una giovane si fabbrica da sola, inseguendo non si sa bene quale sogno mediatico e propagandistico. Si tratta dei miraggi a cui siamo sottoposti ogni giorno: andare a New York, trovare un supereroe, diventare anche tu una supereroina; e ogni volta arriva puntuale la delusione. Ma prima che quella delusione arrivi e prima che si ripeta inesorabilmente ci sarà un impulso irresistibile a provarci ancora, un impulso a cercare ancora, a scopare, ridere e piangere. Sempre in viaggio, con o senza una borsa di studio: i momenti duri, i ragazzi che vanno e vengono e avventure pericolose punteggiano questa micro-storia piena di riflessioni, di coraggio e di maturità. E alla fine arriva, come una specie di resa, un ritorno a se stesse, anche se temporaneo. Ma alla fine cosa vuole la protagonista di questo libro? Sicuramente faccio fatica a immaginarla ferma in un posto.
Jordi Gracia, El País
Nel 2000 il naturalista statunitense Jonathan C. Slaght stava facendo trekking nella remota provincia di Primorye, nella Russia orientale, quando sentì qualcosa tra le fronde. Era un gufo, ma diverso da tutti quelli che aveva visto, era un raro gufo pescatore di Blakiston, grande come un’aquila. Dopo questo incontro Slaght torna da quelle parti varie volte e I gufi dei ghiacci orientali è il racconto, in forma narrativa, delle sue missioni di ricerca a caccia di questo magnifico e raro volatile. Slaght riesce a descrivere il suo lavoro sul campo con toni poetici e coinvolgenti: il gufo è sfuggente e passano anni prima che possa vederne e toccarne un altro. È una ricerca solitaria e frustrante che però riesce a non annoiare mai il lettore. Non è solo la bizzarria del gufo a tenerci sulla pagina, ma anche la varietà di esseri umani che popolano quella remota e gelida regione. È una terra in cui si mangia carne di alce, si beve vodka da due soldi e ci si ritrova in saune per soli uomini. I russi intorno a lui si schiantano sugli spazzaneve, vengono chiusi a chiave dalle mogli perché non bevano ed essiccano peni di renna da usare in pozioni contro l’impotenza. Slaight documenta tutto con lo stesso distacco da studioso con cui descrive le abitudini del suo inafferrabile gufo dei ghiacci. La povertà, il lento suicidio dell’alcolismo e il pericolo di essere assaltati dalle tigri sono tutte cose che fanno parte della vita di questa gente. Eppure I gufi dei ghiacci orientali è anche un libro pieno di speranza e di valore scientifico.
Clement Knox, The Sunday Times
Lorrie Moore si è fatta conoscere con i racconti accattivanti e carismatici che ha cominciato a pubblicare intorno ai vent’anni. Il suo lavoro veniva apprezzato, ma sempre con scetticismo: il suo tono così divertente e arguto potrà mai evolversi in qualcosa di più sostanziale? In Sono senza casa, se questa non è nella mia siamo nel Bronx, anno 2016. Finn, un insegnante, siede in un hospice accanto al fratello che sta per morire, ma è distratto: pensa agli intenti suicidi della sua ex ragazza, Lily, una donna che lo lasciò tanto tempo prima per un altro. Lily per lavoro fa il clown – questa è una tipica zampata di Lorrie Moore – e una volta ha tentato di impiccarsi con le stringhe delle sue scarpe da pagliaccio. Mentre siede accanto al fratello, Finn viene a sapere che alla fine si è uccisa davvero. O almeno così sembra, visto che vediamo Lily aggirarsi per il cimitero con la bocca sporca di terra in uno stato che lei stessa descrive come “adiacente alla morte”. Finn decide di aiutarla e parte con lei per un assurdo viaggio in macchina fino al Tennessee. E poi, a un certo punto, proprio come succede a Lily, il romanzo comincia ad andare in pezzi e la storia fatica a stare in piedi, va via via degradandosi. Alla fine Lorrie Moore, con questo libro che vuole sconfiggere la morte, si prende la libertà di sfuggire a qualunque interpretazione critica sul suo lavoro.
Parul Sehgal, The New Yorker
In questa strana storia l’aldilà ricorda una piccola città statunitense: ci sono centri commerciali, cani, cene per il giorno del Ringraziamento e così via. Soprattutto, è un posto dove s’invecchia al contrario. Liz, l’eroina della storia, muore in un incidente d’auto a 15 anni e nell’aldilà incontra la nonna, morta prima che lei nascesse, che si prende cura di lei e la guida nel nuovo mondo di Altrove. Se invece sei un giovane uomo che ha lasciato un’amatissima moglie, quando muore lei ti troverà che sei invecchiato al contrario: hai 17 anni e ti sei già innamorato di un’altra. La cosa migliore di questo romanzo è il modo in cui è scritto. È una narrazione in terza persona tutta al presente che con la sua ordinarietà dà un’aria assolutamente credibile alle stranezze che vengono descritte. Elsewhere può piacere molto ai lettori più giovani e prendere posto tra i tanti libri che parlano dell’aldilà e di cosa ci accade quando smettiamo di essere vivi.
Adèle Geras, The Guardian
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