Durante la visita ufficiale a Paiporta, uno dei comuni più colpiti dalle inondazioni che hanno distrutto la provincia di Valencia, il gruppo composto dal re Felipe e dalla moglie Letizia Ortiz, con il capo del governo Pedro Sánchez e il presidente della Generalitat Valenciana Carlos Mazón, ha subìto un attacco senza precedenti nella storia recente della democrazia spagnola. Decine di persone, al grido di “assassini”, hanno aggredito le autorità lanciando fango, assi di legno e oggetti di ogni tipo, fino a rischiare di sfondare il cordone di sicurezza. Sánchez è stato portato via dopo essere stato colpito.
Nelle ore successive ci sono state discussioni non solo sterili, ma anche dannose. Si è detto che la visita reale nelle zone colpite dalla catastrofe è stata un errore, ma non c’è niente di più lontano dalla realtà. La visita era necessaria, perché il capo dello stato non può restare in disparte di fronte al dolore dei cittadini dopo un disastro di dimensioni colossali come quello provocato dalla dana a Valencia. Se le autorità non si fossero presentate, sarebbero state criticate per la loro assenza: il re non poteva più aspettare. Sarebbe stato meglio organizzare la visita quando la situazione fosse stata sotto controllo, ma non è stato così. Il sovrano ha dovuto affrontare personalmente la rabbia di chi ha percepito l’assenza dello stato.
Anche se qualcuno cerca di approfittarne per interessi di parte, l’indignazione emersa il 3 novembre nelle strade di Paiporta è reale e non può essere cancellata denunciando le manovre avvelenate dell’estrema destra o della sinistra radicale. Bisogna combattere il senso d’impotenza che opprime i cittadini e li spinge verso l’estremismo. Ancora una volta è necessario fare appello alla responsabilità di chi governa (contro cui erano diretti gli insulti e i tentativi di aggressione) affinché capisca che il percorso seguito finora, quello del conflitto e delle trincee, alimenta solo gli scontri sociali come quello a cui stiamo assistendo. I cittadini chiedono alle istituzioni aiuto e soluzioni. Per questo c’è bisogno di unità d’azione tra i governi – quello locale e quello nazionale – di diverso orientamento politico, che dovrebbero agire insieme alla ricerca del bene comune e della difesa dei valori democratici. I fatti del 3 novembre sono ingiustificabili, ma hanno una spiegazione. Non si può far finta che non sia così.
Guardare avanti
In questi giorni il rispetto delle vittime della dana ci ha spinti verso la moderazione, ma ormai è passata più di una settimana da quando il cielo ha scaricato un diluvio su Valencia. Ancora ci sono decine di persone scomparse e cadaveri non identificati, centinaia di famiglie senza corrente elettrica, acqua o comunicazioni, migliaia di case invase dal fango e centinaia di attività ferme, il tutto immerso in una sensazione generale di negligenza e mancanza di coordinamento, non soltanto nella gestione immediata dell’emergenza ma anche nella fase di assistenza alle vittime. L’ondata di solidarietà che ha scosso la Spagna è un sintomo ma anche una conseguenza, perché non sarebbe stata così intensa se la società non avesse ritenuto che di fronte all’inefficienza dei governi una mobilitazione era indispensabile. Tra l’altro bisogna constatare che la disponibilità della popolazione ad aiutare non viene sfruttata in modo adeguato dai responsabili politici e tecnici, rendendo inutili molti sforzi.
È evidente che in questo contesto gli alti e bassi nei rapporti tra il governo nazionale di Pedro Sánchez e quello regionale di Carlos Mazón hanno solo rallentato l’organizzazione dei lavori, colpito ulteriormente le vittime e generato uno scoraggiamento generale che alimenta il populismo. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1588 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati