Sono passati quattro anni da quando Tamara Lindeman ci ha stregato con la matura odissea di Ignorance, mentre il disco successivo non aveva la stessa magia. Stavolta con Humanhood la musicista canadese e il resto della band ci offrono la loro versione massimalista. In questi brani c’è lo stesso tenero sentimento straziante che racconta l’esperienza di un’umanità condivisa, ma stavolta i Weather Station scelgono una strumentazione stravagante. Provano a tradurre l’essenza della natura nelle loro composizioni, seguendo l’esempio dei Sigur Rós, e così gli strumenti sono combinati per trasmettere la desolazione, i venti che fischiano lungo crinali aspri e luoghi inospitali. È un effetto difficile da spiegare, ma è potente. Descrivendo la mancanza di connessione con amici, amanti, familiari e perfino estranei, Lindeman accosta paesaggi duri e testi disperati a una voce eterea e mai fredda. Tutto suona come una reminiscenza di Ignorance e a volte vive nella sua ombra. Questo però non significa che Humanhood non sia molto bello. È il lavoro unitario di una band che fa della coesione il suo marchio di fabbrica.
Michael Watkins, Clash
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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati