Diversamente da quanto possa suggerire il titolo, La maestra e la Bestia non è una storia d’amore con personaggi selvaggi e passionali. O almeno non è solo quello. La scrittrice ci fa tornare agli anni della guerra civile spagnola attraverso Severina, la giovane maestra di un villaggio montano di fantasia, Dusa. È il 1962 e lei, orfana da poco, cerca un posto in cui mettere radici. Qui scoprirà un universo chiuso e segreto pieno di gente segnata dalla guerra e qui, in un contesto ostile, cercherà d’instillare l’amore per la conoscenza nei suoi studenti. E nel villaggio troverà lui, Simeó, che lei chiama “la Bestia”, “un pezzo d’uomo” che l’attira come una calamita perché in lui riconosce un dolore simile al suo. Il romanzo, tutto in terza persona, alterna il racconto delle peripezie della protagonista nel piccolo villaggio e la storia dei genitori defunti, Simona e Romá, attraverso cui scopriamo qualcosa di più sull’infanzia di Severina. In questo modo Monsó ritrae due generazioni segnate dalla guerra: quella dei genitori, costretti a vivere una recita continua e quella della figlia obbligata a decifrare i segnali che nascondono verità incofessabili. Questo silenzio forgia il carattere di Severina, discreto, solitario e scontroso. Lei sa benissimo, come le ricorda una compagna, che “noi maestre non parliamo di politica: è brutto!”. La maestra e la Bestia è un romanzo denso che fluisce in modo da dare, pagina dopo pagina, sempre più forza alla sua protagonista.
Valèria Gaillard, El Periódico de España

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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati