Il 3 aprile la visita di Benjamin Netanyahu in Ungheria è stata un affronto al diritto internazionale e l’ennesima manifestazione del disprezzo di Viktor Orbán per i valori dell’Unione europea. L’accoglienza più che calorosa riservata a un primo ministro accusato dalla Corte penale internazionale (Cpi) di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità nella Striscia di Gaza dimostra la deriva inquietante del leader ungherese. Orbán ha preferito ritirarsi dalla Cpi invece di rispettare l’obbligo di non invitare Netanyahu o di arrestarlo quando ha messo piede sul suolo europeo. La Cpi sta indagando sulle responsabilità del leader israeliano nella punizione collettiva inflitta alla popolazione civile palestinese di Gaza dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023.
Il disprezzo del leader ungherese per il diritto internazionale indebolisce la posizione comune dell’Unione europea, che vorrebbe una soluzione alla guerra a Gaza basata sul rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani.
Tra l’altro Netanyahu è entrato nell’Unione europea proprio mentre il suo esercito eseguiva un piano per dividere Gaza in corridoi militari invalicabili, consolidando un controllo territoriale che lascia intravedere un’occupazione permanente. La Striscia è stata divisa in tre settori: uno a nord, ridotto in macerie; uno al centro, trasformato in una zona per accogliere gli sfollati; e l’ultimo a sud, intorno a Rafah, dove centinaia di migliaia di palestinesi sono ammassati senza accesso all’acqua, al cibo e a un rifugio. È una divisione ingiustificabile, che non ha neanche messo fine ai bombardamenti.
L’Unione deve ritrovare una voce forte e coerente, e smettere di tollerare la complicità di governi come quello di Orbán in crimini che la storia non dimenticherà. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati