È un lago da cartolina, un piccolo angolo di paradiso scandinavo. Acque limpide, rare specie di uccelli e isolotti su cui crescono grandi conifere. Ma da decenni il lago Tyrifjord, in Norvegia, è avvelenato: un inquinamento invisibile, pericoloso e irreversibile. I composti chimici che contaminano le sue acque appartengono a una famiglia di sostanze molto tossiche, con nomi così complessi che sono sostituiti da una sigla: Pfas, cioè le sostanze per- e polifluoroalchiliche.

Dalla fine degli anni quaranta i Pfas servono a produrre quei materiali antiaderenti, antimacchia e idrorepellenti che ricoprono i nostri utensili, i nostri vestiti e molto altro: per esempio il Teflon, l’idrorepellente per tessuti Scotchgard e il Gore-Tex. Queste sostanze sono presenti in un numero enorme di oggetti: nei tappeti, nelle corde da chitarra, nelle batterie dei veicoli elettrici, nelle vernici, nei trattamenti per l’acne, negli involucri per kebab e patatine fritte, nelle guaine per i circuiti elettrici degli aerei, nelle protesi d’anca e nel filo interdentale. I Pfas, nocivi per la salute, sono migliaia o addirittura milioni di composti, nessuno lo sa con esattezza. Quello che li accomuna è un’inalterabile catena di atomi di carbonio e di fluoro, all’origine delle loro proprietà uniche ma anche della loro estrema persistenza nell’ambiente. Indistruttibili in natura, capaci di diffondersi anche lontanissimo dalla zona in cui sono fabbricati, sono stati soprannominati forever chemical (sostanze chimiche eterne).

Per quasi un anno i giornalisti di diciotto testate hanno indagato per cercare di misurare la portata di questo problema in Europa. Secondo una stima prudente, basata su migliaia di prelievi ambientali, nel continente ci sono più di 17mila siti contaminati a livelli tali da richiedere l’intervento delle autorità (sopra i dieci nanogrammi per litro). E secondo gli esperti che abbiamo contattato, la contaminazione raggiunge livelli pericolosi per la salute (oltre i cento nanogrammi per litro) in più di 2.100 hot spot.

Alcuni di loro si trovano vicino alle venti fabbriche produttrici di Pfas che siamo riusciti a localizzare (questi siti industriali non sono mai stati mappati). La nostra inchiesta rivela anche la posizione di quasi 21.500 luoghi in tutta Europa ritenuti contaminati a causa di un’attività industriale in corso o conclusa, e più di 230 stabilimenti che usano Pfas.

Dal Danubio al lago di Orestiada, in Grecia, dal fiume Bilina, in Repubblica Ceca, al bacino del Guadalquivir, in Spagna, i Pfas sono stati trovati nell’acqua, nell’aria e nella pioggia, nelle lontre e nei merluzzi, nelle uova e negli adolescenti. Decine di migliaia di campioni raccolti da équipe scientifiche e dalle agenzie per l’ambiente tra il 2003 e il 2023 lo dimostrano chiaramente: ormai sono pochi i luoghi risparmiati da questa contaminazione onnipresente e ancora in gran parte sconosciuta ai cittadini. Nemmeno i nostri corpi fanno eccezione: gli studi di biosorveglianza dimostrano infatti che questi composti sono presenti anche nel nostro sangue.

I Pfas hanno acquisito una certa notorietà con Cattive acque, il film di Todd Haynes del 2019 in cui Mark Ruffalo interpretava Rob Bilott. L’avvocato statunitense aveva scoperto i primi indizi di questo crimine ambientale vicino alla fabbrica in cui il gruppo chimico DuPont produceva Teflon a Parkersburg, nella Virginia occidentale. Era il 1998, ma anche se negli anni successivi gli Stati Uniti si sono resi conto della portata della contaminazione dei Pfas, lo scandalo non sembra aver attraversato l’oceano. Eppure a nostra insaputa il veleno del secolo ha contaminato anche l’intera Europa.

Come si può misurare la portata del problema nel continente? Nel 2019 il Consiglio nordico, un’organizzazione intergovernativa che riunisce la Danimarca, la Finlandia, l’Islanda, la Norvegia e la Svezia, ha commissionato un rapporto a Gretta Goldenman, una scienziata esperta di Pfas. Ma nonostante un anno di lavoro e un’impressionante raccolta di dati, la sua squadra non è riuscita a trovare un dato fondamentale: quanti sono esattamente gli impianti chimici che producono Pfas in Europa?

Lo stabilimento della Solvay a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, 14 dicembre 2022 (Elisabetta Zavoli)

A questa domanda ne seguono altre: quante sono le fabbriche di Teflon o di Scotchgard? Quanti sono gli inquinatori come la DuPont?

“È arrivato il momento di chiarire tutto questo, soprattutto per le persone più esposte che vivono vicino alle fabbriche”, spiega Goldenman.

Alla luce delle informazioni raccolte, l’elenco degli effetti dell’esposizione anche a basse dosi di Pfas si allunga: calo del peso nei neonati, della fertilità e della risposta immunitaria ai vaccini nei bambini, maggiore rischio di tumore al seno, ai reni o ai testicoli, malattie della tiroide, colite ulcerosa, preeclampsia e aumento del tasso di colesterolo e della pressione fra le donne incinte, rischi cardiovascolari. L’équipe di Goldenman ritiene che i Pfas costino ai sistemi sanitari europei tra i 52 e gli 84 miliardi di euro all’anno.

Gli hot spot più noti d’Europa hanno tutti come epicentro delle fabbriche che producono Pfas. A Trissino, in Italia, la Miteni ha prodotto per cinquant’anni una lunga serie di Pfas. La contaminazione delle falde acquifere e del suolo, scoperta nel 2013, si estende per più di duecento chilometri quadrati e interesserebbe fino a 350mila persone in Veneto.

Questo inquinamento industriale comprende diversi Pfas detti a “catena lunga”, perché contengono più di otto atomi di carbonio (C8), in particolare l’acido perfluoroottansolfonico (Pfos) e l’acido perfluoroottanoico (Pfoa). Vietati dalla convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, rispettivamente nel 2009 e nel 2019, sono stati sostituiti da Pfas “a catena corta”, che pongono però gli stessi problemi. Questa sostituzione permette alle aziende di continuare a mantenere un vantaggio sulla regolamentazione.

Il rapporto di Goldenman ha indicato dodici stabilimenti, ma in una nota precisa: “In base ai dati raccolti si può ipotizzare che esistano tra dodici e venti siti”. Allora dove sono gli altri? Ci siamo messi a cercare. Un compito che si è rivelato molto più difficile di quello che pensavamo, ma non impossibile.

Orti vicino allo stabilimento della Chemours a Dordrecht, nei Paesi Bassi, 8 settembre 2022 (Jeffrey Groeneweg, ANP/Hollandse Hoogte/Alamy)

Caccia alla fabbrica

Per trovare i siti abbiamo passato settimane su Google Maps a scrutare i paesaggi attraverso le foto satellitari e a zoomare sulle macchie grigie delle zone industriali. Abbiamo setacciato in 3D questa squallida Europa dei poli chimici, talvolta così estesi da avere diverse fermate di autobus, come quello di Burghausen in Germania, grande più di 280 campi da calcio.

Il processo di sintesi dei Pfas è complesso e costoso. Necessita di conoscenze e impianti particolari, e riguarda per lo più grandi aziende che vendono i loro prodotti a migliaia di utilizzatori. La Germania, culla della chimica industriale, è al primo posto con almeno sei di queste fabbriche, di cui tre a Gendorf in Baviera: la svizzera Archroma e le statunitensi 3M, Dyneon e W.L. Gore, produttrice del famoso Gore-Tex.

La Francia è seconda con cinque siti: le fabbriche della Arkema e della Daikin, nella valle della chimica a Pierre-Bénite, a sud di Lione; quella della Chemours, che si è separata dalla DuPont nel 2015, a Villers-Saint-Paul, e gli stabilimenti della Solvay a Tavaux e a Salindres. Seguono poi il Regno Unito con tre siti, l’Italia con due e infine la Polonia, la Spagna, i Paesi Bassi e il Belgio, con un sito ciascuno.

Come a Parkersburg, la Chemours provoca un grave inquinamento vicino alla sua fabbrica di Dordrecht, nei Paesi Bassi. Dopo la sua scoperta, nel 2015, è stata all’origine di una crisi nazionale. Aria, suolo e acqua sono pieni di Pfoa e di GenX, un sostituto a catena corta che è stato trovato negli orti a più di un chilometro di distanza. La 3M, che forniva alla DuPont il Pfoa necessario alla fabbricazione del Teflon, ha inquinato così tanto la zona intorno alla sua fabbrica di Zwijndrecht, in Belgio, che è diventata una delle più contaminate al mondo.

A quanto ci risulti, in più della metà delle aree di produzione che abbiamo individuato non è mai stata fatta nessuna campagna di prelievo per misurare la portata di un’eventuale contaminazione, ma è possibile che le analisi siano state eseguite e che i risultati non siano stati resi pubblici. Anche se tre di queste fabbriche non sono più in attività, l’inquinamento è ancora lì.

Il fatto che i Pfas non si degradino da soli significa che le cifre necessarie per rimediare a questo tipo di inquinamento sono enormi

Chi ha avvelenato il lago Tyrifjord? Ogni Pfas porta nella sua struttura chimica l’impronta dell’attività industriale o dell’uso all’origine della sua dispersione nella natura. È in questo modo che i detective della “contaminazione del mondo”, secondo le parole degli storici François Jarrige e Thomas Le Roux, per lo più dei chimici dell’ambiente in stivali di gomma, hanno potuto identificare una fabbrica di carta quindici chilometri a monte del fiume.

Quanti siti in Europa hanno subìto un’elevata contaminazione? Quali sono le conseguenze per gli abitanti? Possiamo identificare le fonti di questo inquinamento per cercare di mettervi fine o almeno fermare le emissioni nell’ambiente? A livello europeo non esiste nessun censimento ufficiale dei luoghi più contaminati, e solo alcuni paesi si sono impegnati a farlo. Nessun dato, nessuna informazione. Se sulla cartina dell’inchiesta in molti paesi non ci sono punti è solo perché non sono state fatte misurazioni.

Una trentina di luoghi sono stati definiti hot spot dalle autorità o dagli scienziati. In primo luogo ci sono le zone vicino alle fabbriche, in cui la concentrazione di Pfas può raggiungere livelli molto elevati. Poi c’è una ventina di altri siti, il più delle volte scoperti per caso. Nella maggior parte l’inquinamento è dovuto all’uso di schiume antincendio Afff, che l’Agenzia europea per le sostanze chimiche ha proposto di vietare nel febbraio 2022.

Usate per spegnere i roghi provocati dagli idrocarburi, contro i quali l’acqua è inefficace, queste schiume formano un tappeto che priva il fuoco di ossigeno. Ma dopo l’uso i Pfas che contengono s’infiltrano nel terreno e arrivano alle falde sotterranee, per finire poi negli acquedotti.

Sono molto usate negli aeroporti e nelle basi militari. Di conseguenza alcuni di questi hot spot sono vicini agli scali di Düsseldorf e di Norimberga, in Germania, di Schiphol, nei Paesi Bassi, e di Jersey nel Regno Unito, e a diverse basi aeree militari in Svezia. L’acqua potabile di Ronneby, un comune svedese di 28mila abitanti, è stata contaminata dalle schiume usate durante le esercitazioni antincendio in una base dell’esercito a due chilometri dalla città. Dopo la scoperta diversi studi monitorano la salute degli abitanti, cavie loro malgrado di un esperimento a grandezza naturale.

Nei dintorni di Rastatt, in Germania, tonnellate di compost imbevuto di Pfas proveniente da una fabbrica di carta sono state riversate nei campi come fertilizzante, contaminando quasi novecento ettari di terreni. La zona, sotto stretta sorveglianza dal 2013, suscita grande preoccupazione. La traccia sotterranea dell’inquinamento si sposta lentamente in direzione del Reno e ben presto lo raggiungerà.

Oltre il limite

“Abbiamo reso il pianeta piuttosto inospitale per noi”, osserva Ian Cousins, che insegna chimica dell’ambiente all’università di Stoccolma, in Svezia. “Siamo arrivati al punto che le nostre risorse primarie sono contaminate e lo rimarranno a lungo. E molto spesso i livelli sono superiori a quelli di guardia. Ormai ci muoviamo in uno spazio in cui non siamo più al sicuro”.

Europa
Luoghi pericolosi
Categorie a cui appartengono i siti probabilmente inquinati dai Pfas in Europa (fonte: Le Monde)

I Pfas costituiscono un limite planetario paragonabile al cambiamento climatico o al buco dell’ozono, affermano Cousins e i suoi colleghi. In un articolo pubblicato nell’agosto 2022 sulla rivista scientifica Environmental Science & Tech­nology, questi scienziati affermano che in tutto il mondo la pioggia contiene concentrazioni di Pfoa superiori ai livelli ammessi negli Stati Uniti.

Ma tra gli 0,055 nanogrammi per litro (ng/l) rilevati nella pioggia caduta in Tibet, dove nessuna fabbrica produce o utilizza Pfas, e i 68 milioni e novecentomila ng/l rilevati nell’acqua sotterranea presso la fabbrica della 3M a Zwijndrecht, dove si trova il limite? Qual è un valore non pericoloso? Molti esperti parlano di un limite massimo di un solo nanogrammo per litro. Ma negli Stati Uniti duecento milioni di persone, quasi due terzi della popolazione, consumano acqua che ne contiene una quantità maggiore. E in Europa?

Danni incalcolabili

Per quanto possa sembrare allarmante, probabilmente la nostra inchiesta sottovaluta la realtà della situazione europea. Oltre alle fabbriche produttrici di Pfas e alle migliaia di luoghi contaminati, siamo riusciti a individuare quasi 21.500 siti ritenuti contaminati. Un lavoro complesso che finora nessuna agenzia o squadra scientifica in Europa aveva fatto.

Per riuscirci abbiamo seguito la metodologia sviluppata da un’équipe di ricercatori del Pfas project lab di Boston con i loro colleghi del Pfas sites and community resources map per mappare l’inquinamento negli Stati Uniti.

La mancanza di banche dati contenenti la geolocalizzazione delle attività industriali in Europa ha rappresentato, insieme alla scarsa trasparenza delle autorità, il principale ostacolo.

Siamo comunque riusciti a localizzare migliaia di siti che ospitano tre tipi di attività ritenute contaminanti: i punti di stoccaggio di schiuma antincendio, gli impianti di trattamento dei rifiuti e delle acque reflue e quasi tremila strutture industriali, tra cui più di un migliaio di cartiere e stabilimenti per la produzione e il trattamento dei metalli.

Negli Stati Uniti la Chemours è al centro della maggior parte delle 6.400 azioni legali riguardanti i Pfas avviate dal 2005. Secondo un’analisi del sito Bloomberg Law queste cause potrebbero costare alla 3M fino a trenta miliardi di dollari (28 miliardi di euro).

Gretta Goldenman ammette che la cifra di 170 miliardi di euro indicata nel suo rapporto per valutare la bonifica dei danni ambientali in tutta Europa è molto sottostimata. Il fatto che i Pfas non si degradino naturalmente significa che le cifre necessarie per rimediare a questo tipo di inquinamento sono enormi. Secondo Martin Scheringer, ricercatore in chimica ambientale al Politecnico federale di Zurigo, in Svizzera, “le dimensioni del problema sono così grandi che è semplicemente impossibile quantificarle”.

Rimediare alla contaminazione dell’acqua bevuta da 1,2 milioni di persone intorno all’aeroporto di Düsseldorf costa cento milioni di euro. Filtrare l’acqua nella provincia di Venezia costa più di 16 milioni di euro. E mentre ci si preoccupa di una contaminazione in nanogrammi, in Norvegia i Pfas recuperati nei terreni vicini a una quarantina di aeroporti si pesano in chili. La bonifica degli aeroporti civili e militari in tutta Europa costerebbe 18 miliardi di euro.

Negli Stati Uniti il conto del trattamento delle acque potabili contaminate da Pfas potrebbe arrivare a 400 miliardi di dollari. La federazione europea delle associazioni nazionali dei servizi di fornitura e di purificazione dell’acqua preferisce rimanere prudente sulle cifre, ma valuta comunque che il costo dell’acqua potrebbe aumentare da 0,28 a 0,36 euro per metro cubo. “Se questa industria è molto redditizia è perché è riuscita a evitare per troppo tempo i costi della prevenzione del suo inquinamento”, spiega Goldenman. “È ora che chi inquina paghi”.

Crimini legali

“È molto difficile stabilire chi è responsabile”, avverte Ian Cousins. Come le aziende petrolifere con il riscaldamento climatico, “l’industria chimica era chiaramente consapevole da molto tempo dei problemi legati ai Pfas”. Per l’esattezza dal 1961, anno in cui la DuPont e la 3M si erano rese conto della tossicità dei Pfoa, come hanno mostrato i documenti interni resi pubblici grazie ai processi negli Stati Uniti. E neanche le autorità lo ignoravano, almeno dal 2006, quando quelle statunitensi hanno ordinato di metterli fuori commercio.

“Ma allora chi è responsabile, l’industria chimica o lo stato che non gli ha imposto delle regole?”, si chiede Cousins. Finora nessuno è andato in carcere per aver creato questa contaminazione storica e probabilmente eterna. Ma possiamo veramente definirla un reato?

Lieselot Bisschop, che insegna diritto all’università Erasmus di Rotterdam, nei Paesi Bassi, si occupa del concetto di “reato industriale favorito dallo stato” (state-facilitated corporate crime) . Un’espressione che indica “i casi in cui le istituzioni pubbliche non disciplinano le attività commerciali illegali o socialmente dannose, oppure creano un contesto giuridico che permette a questi danni di prodursi e ripetersi nel tempo”. Attività spesso “terribili ma legali”, awful but lawful.

Martin Scheringer fa volentieri ricorso a questo concetto: “Per molto tempo le autorità non hanno considerato queste attività come un reato, ma come un fattore di sviluppo e una fonte di ricchezza. Questo le ha spinte a commettere enormi errori negli ultimi cinquanta o sessant’anni, e questi errori si sono trasformati in reati”. ◆ adr

Stati Uniti
La stretta dell’agenzia per l’ambiente

◆ Il 14 marzo 2023 l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (Epa) ha stabilito dei nuovi limiti alla presenza di sei Pfas nell’acqua potabile. La concentrazione di Pfoa, Pfos e altre quattro sostanze non potrà superare le 4 parti per trilione (ppt), una quantità che gli esperti considerano comunque pericolosa per la salute, ma che è la più bassa rilevabile dai test dell’agenzia. In precedenza il limite era fissato a 70 ppt. Nei casi in cui la soglia sarà superata, le aziende che gestiscono gli acquedotti saranno obbligate a rimuovere le sostanze dall’acqua potabile, un processo che secondo l’Epa potrebbe costare più di settecento milioni di dollari all’anno. Secondo uno studio del 2020, negli Stati Uniti l’acqua potabile usata da almeno duecento milioni di persone è contaminata da Pfas. Se non ci saranno ricorsi, la norma entrerà in vigore a metà maggio. Le nuove regole potrebbero moltiplicare le cause legali contro i produttori di Pfas negli Stati Uniti, che tra il 2005 e il 2022 sono state più di 6.400. Questa ondata di procedimenti ha contribuito a incrinare la fiducia degli investitori nelle aziende del settore, che negli ultimi anni hanno visto calare notevolmente il valore delle proprie azioni. Tra le più colpite c’è la 3M, al centro di gran parte delle cause legali, che alla fine del 2022 ha annunciato l’intenzione di smettere di produrre Pfas e di eliminarli da tutti i suoi prodotti entro il 2025. New York Times, Euobserver


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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati