Quando l’inviato statunitense per i Balcani Matthew Palmer è arrivato a Sarajevo il 27 ottobre, il nazionalista di destra Milorad Dodik (il rappresentante dei serbi nella presidenza della Bosnia Erzegovina) lo ha accolto a pacche sulle spalle come fossero vecchi amici. Dodik, però, vuole distruggere lo stato bosniaco e ha già mosso i primi passi per farlo, preparando il terreno per la secessione dell’entità serba. È il politico più pericoloso dei Balcani, ma invece di isolarlo e sanzionarlo, con lui si continua a trattare. È stata proprio questa politica conciliatoria da parte dell’occidente a far precipitare la crisi jugoslava negli anni novanta. Anche Dodik si sente incoraggiato a spingersi sempre più in là. A livello europeo, tra i responsabili di questa linea politica c’è Angelina Eichhorst del Servizio europeo per l’azione esterna. Eichhorst si era già dimostrata incapace di mettere dei paletti nel dibattito su un possibile scambio di territori tra Serbia e Kosovo. Ora sostiene che Dodik non ha superato nessuna linea rossa, anche se i cittadini bosniaci stanno raccogliendo le firme necessarie a denunciarlo per aver “pregiudicato l’ordine costituzionale”.
Dato che gli stati dell’Unione europea sono divisi, l’Austria potrebbe prendere l’iniziativa e imporre sanzioni contro Dodik. Il leader serbo-bosniaco ha interessi nel paese e ci si reca spesso: un divieto d’ingresso e il congelamento del suo patrimonio all’estero sarebbero il giusto segnale in questo momento. ◆ mp
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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati