Hideo Takayama ha sentito parlare per la prima volta degli ankyo nel 2000, quando ha comprato una casa a Ikenoue, un quartiere residenziale nella zona occidentale di Tokyo. L’agente immobiliare aveva fatto notare, con tono di scusa, che c’era un ankyo proprio a destra della proprietà. “All’epoca non sapevo con esattezza cosa significasse. L’agente mi disse che in passato lì scorreva un fiume”, racconta Takayama.
Poi nei giorni di pioggia abbondante aveva notato che da un tombino si poteva sentire il rumore dell’acqua in un canale sotterraneo. Scoprì così di vivere sopra quello che era stato un affluente del fiume Kitazawa, ora nascosto dal cemento. Un ankyo è ciò che resta di un corso d’acqua interrato. Il trasferimento a Ikenoue fu accompagnato da un periodo psicologicamente difficile per Takayama, che lavora in un’agenzia pubblicitaria. Il suo matrimonio era in crisi e a casa si sentiva solo. Anche il lavoro non andava troppo bene. Per liberare la mente andava in bici esplorando nuove strade e scorciatoie. Così si rese conto che alcuni dei suoi percorsi preferiti seguivano le tracce di questi fiumi e torrenti dimenticati.
“Gli ankyo sono placidi, trascurati e in alcuni casi intasati di spazzatura”, dice Takayama, prima di accompagnarmi in un tour di ankyo a Koenji, un’area a ovest del quartiere di Shinjuku, nota per la musica dal vivo, i negozi di abiti vintage e i pub economici. “Vivevo un periodo difficile e in qualche modo simpatizzavo con loro”, spiega Takayama.
Anche se spesso non si vede, l’acqua scorre ancora in molti ankyo, dice Takayama, mentre altri sono diventati parte della rete fognaria: “È come se volessero dirci ‘ci siamo ancora’. Rintracciandoli possiamo riconoscere il valore che questi fiumi hanno avuto in passato”.
Takayama, 59 anni, ha formato con la compagna, Nama Yoshimura, 46 anni, gli Ankyo maniacs, una squadra di esplorazione composta solo da loro due. Gestiscono un sito, organizzano tour guidati e hanno scritto due libri, Ankyo maniakku! (Maniaci degli ankyo) e Ankyo paradaisu! (Il paradiso degli ankyo). Sono sempre di più le persone che cercano di tracciare il percorso dei vecchi fiumi, scomparsi nell’ultimo secolo quando la città si è trasformata in una metropoli.
Paesaggi perduti
Seguire questi corsi d’acqua equivale a recuperare pezzi di storia e di topografia urbana. Gradualmente emerge lo spirito dei paesaggi perduti di Tokyo e delle vite di chi visse e lavorò lungo questi fiumi. Gli ankyo permettono di riconnettersi alla memoria del territorio. Verso il finale di La città incantata, film di animazione di Hayao Miyazaki (2001), vincitore di un premio Oscar, Chihiro, il protagonista della storia, ricorda il vero nome di Haku, un dragone tramutato in un ragazzino vestito di bianco. È lo spirito di Kohaku-gawa, un fiume ormai interrato in cui Chihiro era caduto da bambino. La storia di Haku può essere letta come un omaggio ai numerosi fiumi di Tokyo cancellati dalla memoria.
Costruita sull’acqua, la città si sviluppò nel periodo Edo (1603-1868) quando Tokugawa Ieyasu (1543-1616) fondò lo shogunato Tokugawa (l’ultimo governo feudale del Giappone) e ampliò la capitale intorno al castello di Edo. Furono avviati ambiziosi progetti di opere pubbliche e attraverso i fiumi esistenti si costruì un sistema di vie d’acqua collegate ai fossati interni ed esterni del castello. A mano a mano che i progetti d’interramento aumentavano fu costruito un sistema di canali a griglia. Nell’era Meiji (1868-1912), segnata da grandi trasformazioni urbane e anche dal cambio di nome della capitale da Edo a Tokyo, fu modificata drasticamente la zona costiera. Altre ricostruzioni avvennero dopo il grande terremoto nel Kanto del 1923 e dopo la seconda guerra mondiale.
Ma il periodo di maggiori trasformazioni fu durante la rapida crescita economica degli anni cinquanta e sessanta. L’espansione raggiunse l’apice nella corsa verso le Olimpiadi di Tokyo del 1964. Furono eseguite opere infrastrutturali senza precedenti, tra cui la trasformazione in canali sotterranei di fiumi e correnti per migliorare il sistema fognario.
Oggi, la rete di corsi d’acqua che un tempo si estendeva come una ragnatela attraverso Tokyo è in gran parte coperta. Quanti ankyo ci sono? “Manca un conteggio completo”, afferma Toshikatsu Moriya, funzionario dell’ufficio delle reti fognarie del governo metropolitano di Tokyo. Per loro natura gli ankyo sono difficili da individuare perché molti sono connessi ad altri fiumi e sistemi di drenaggio. Non sembrerebbe esserci nemmeno una definizione esatta della parola: ankyo, nel senso più ampio può riferirsi anche a fiumi e torrenti che sono stati prosciugati. C’è chi per mapparli ha esaminato a fondo archivi e registri. La nuova edizione di Tokyo ankyo sanpo (A passeggio lungo gli ankyo di Tokyo), curato da So Honda, include una mappa della città di 90 per 60 centimetri in cui sono segnati ankyo e kaikyo (canali aperti). Un’altra app usata dagli appassionati è Tokyo jiso chizu (Mappa di Tokyo nel tempo), che permette di passare dalle mappe attuali a quelle topografiche, in scala 1:10.000, relative a sei diverse fasi di sviluppo urbano, dall’era Meiji all’era Heisei (1989-2019).
Primo amore
Per prepararmi al mio tour degli ankyo mi procuro sia la mappa di Honda sia l’app. Takayama e Yoshimura sono pronti a guidarmi per le strade di Koenji. Il nostro obiettivo è tracciare il fiume Momozono, un ankyo che Yoshimura descrive come il suo “primo amore”.
Yoshimura ha studiato all’università di Tokyo e spesso trascorreva il tempo libero passeggiando per i portici di Koenji, tra negozi di abbigliamento di seconda mano e venditori ambulanti di dolci. All’epoca non si era resa conto della pendenza delle strade o dei punti di congiunzione che sembrano spuntare dal nulla: “Poi, alcuni anni dopo, mentre giravo per Koenji mi è improvvisamente venuto in mente che questi punti di congiunzione si trovano dove passano gli ankyo. È stata una specie di folgorazione, simile alla sensazione dell’innamoramento”.
Se Takayama applica un rigoroso metodo analitico alla ricerca sul campo, Yoshimura dice di avvicinarsi agli ankyo con l’entusiasmo di una fan. È lei che ricostruisce meticolosamente la storia di un fiume e dei suoi affluenti raccogliendo aneddoti da chi ricorda ancora i tempi in cui il corso d’acqua scorreva alla luce del sole. Entrambi, tuttavia, sottolineano l’importanza delle tracce degli ankyo: oggetti, strutture, negozi e altre caratteristiche osservabili a occhio nudo che ne segnalano la presenza. Incontriamo molte di queste tracce seguendo il corso principale del fiume Momozono e dei suoi affluenti. Un tempo scorreva attraverso i quartieri di Suginami e Nakano e prendeva il nome da un pescheto che fioriva nei terreni del tempio di Koenji. I segni più evidenti includono le rovine di vecchi ponti e argini. Anche le attività commerciali che smaltiscono grandi quantità di acque reflue erano spesso situate lungo i fiumi: i bagni pubblici sentō, così come le piscine, i laghetti per la pesca, le lavanderie, i negozi di tofu e le tipografie. Questi fiumi e gli affluenti a volte segnavano le frontiere tra i diversi quartieri.
Takayama nasconde a malapena l’emozione mentre procediamo in un vicolo stretto e umido. Indica delle zone coperte di muschio. “È un’altra traccia di ankyo. Ha qualcosa di pacifico e perfino zen”. Raggiungiamo un terreno abbandonato che si affaccia su un altro ankyo, un affluente del Momozono. Tra erbacce, spazzatura e una sedia da scrivania abbandonata l’atmosfera è meno zen. “Stranamente gli ankyo sembrano attirare l’immondizia”, dice Takayama. Forse è un altro effetto collaterale della loro esistenza dimenticata.
Yoshimura ha portato con sé delle vecchie fotografie della zona che mostrano come il Momozono sia stato interrato rendendo possibile trasformare una scarpata in un percorso pedonale nel verde. Alcuni degli edifici immortalati nelle foto esistono ancora, possiamo capire come il fiume e le comunità circostanti si sono sviluppati nel corso degli anni. Camminando nel percorso pedonale incontriamo un paio di operai che sostituiscono una tubatura fognaria. C’inginocchiamo per sbirciare attraverso i piccoli fori circolari di un tombino e riusciamo a scorgere l’acqua in basso grazie alle torce al led che rischiarano il buio. “Vedi, quello è il Momozono”, dice Takayama dopo aver osservato il flusso, meravigliato nel constatare che il fiume che abbiamo seguito sia ancora qui con noi. Ora che ho le basi posso seguire un ankyo da solo.
Sono curioso di rintracciare il fiume Aizome (detto anche Aisome), un corso d’acqua che un tempo scorreva vicino a dove abito. Ci sono una clinica Aisome, un viale Aisome, un centro di assistenza all’infanzia Aizome, che un tempo, mi ha detto Yoshimura era un allevamento ittico per un negozio di pesci. I segnali degli ankyo sono ovunque: un pescivendolo, una lavanderia all’antica e un sentō sulla strada vicino al mio appartamento.
Si pensa che l’Aizome nascesse dallo stagno Naga nell’ex villaggio di Kamikomagome, nel quartiere di Toshima, mi spiega Kotaro Tojo, un ricercatore. Il fiume aveva un cattivo drenaggio ed esondava spesso, per cui nel 1921 fu coperto e trasformato in una strada. “Anche se oggi rintracciare gli ankyo è un’attività piuttosto popolare, non abbiamo molti documenti sulla loro storia”, afferma Tojo. Lo stagno Naga, scopro, non esiste più. Ma c’è una targa all’interno del cimitero di Somei che indica dove si trovava. Stando alle vecchie mappe, alla sorgente l’Aizome era chiamato fiume Yata e andava verso sudest attraversando vari quartieri prima di sfociare nello stagno Shinobazu all’interno del parco di Ueno.
Straniero nel tuo quartiere
Mentre seguo a valle il corso d’acqua coperto, m’imbatto in una vecchia lastra di pietra con l’iscrizione Somezu-bashi (ponte di Somezu): una chiara traccia di ankyo. Proseguo verso il mio quartiere, dove l’ankyo dell’Aizome scorre verso Hebi-michi, o “strada del Serpente”, chiamata così per le tante curve. Un altro segno del passato tortuoso del fiume.
A Nezu c’è un vecchio negozio di tinture, fondato nel 1895, che vende asciugamani e altri articoli. C’è chi dice che il nome Aizome (la parola per la tintura indaco tradizionale) derivi dal fatto che le tintorie versavano scarti blu nelle sue acque. Non è chiaro quale fosse il percorso del fiume nel suo tratto finale. Tuttavia, quando arrivo allo stagno di Shinobazu – accolto da un pacifico stormo di anatre che riposano sulla sua superficie – mi sembra di aver appena completato un piccolo viaggio nella storia.
Per me non è esattamente un primo amore, come l’ha descritto Yoshimura, piuttosto mi pare quasi di sentirmi straniero nel mio quartiere. Scene familiari assumono un nuovo significato, la prospettiva si è dilatata. Ed è questa sensazione, capisco ora, ad appassionare le persone in cerca di fiumi scomparsi. Già sto pensando a quale sarà il prossimo ankyo da rintracciare. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati