Vicino alla bara si potevano ascoltare i successi di Mina, la diva della canzone italiana. Nella sala del comune di Bologna, il pomeriggio del 27 marzo, una folla eterogenea si è raccolta intorno alla salma di Lucy Salani, morta cinque giorni prima all’età di 98 anni. Le persone si lasciavano andare, mescolando risate e singhiozzi. “Diritto alla golosità” c’era scritto su un cartello. “Associazione degli ex deportati italiani nei campi nazisti” si leggeva su uno stendardo.
Salani sopravvisse al campo di concentramento nazista di Dachau, in Germania. Apparteneva alla comunità lgbt+, fu prostituta, tappezziera e architetta d’interni, e fece il percorso di transizione negli anni ottanta. Chiamato Luciano Salani alla nascita, Lucy rimase fedele alla città in cui era cresciuta, in questa Bologna che nel 1990 fu il primo comune al mondo a eleggere una consigliera trans, la militante e attrice Marcella Di Folco.
Il giorno dei funerali di Salani la fascia del sindaco, di un tricolore solenne, si mescolava ai vestiti più colorati dei giovani artisti e militanti. Sono proiettati alcuni estratti di un documentario su Lucy Salani. Nell’estate 2022 il film si era potuto vedere in piazza Maggiore, proprio accanto al comune.
Dopo l’arrivo al governo di Giorgia Meloni, nell’ottobre 2022, la più ribelle delle piazze italiane si caratterizza per le numerose manifestazioni contro la prima presidente del consiglio di estrema destra. Una piazza simbolo di una città simbolo, situata a metà strada dai poteri politici ed economici rappresentati da Roma, nel centrosud, e Milano nel nord. A Bologna si vive in un clima di resistenza, tolleranza e originalità. In un paese sempre più vecchio e chiuso in se stesso, in cui l’estrema destra agita lo spettro del declino e di una presunta ideologia woke (riferita all’attivismo vigile e consapevole), il capoluogo dell’Emilia-Romagna offre un’alternativa giovane, aperta e collettiva.
Elly Schlein, 38 anni, è diventata il volto serio e sorridente di quest’altra Italia: a Bologna ha studiato, vota ed è stata eletta deputata. Dopo l’annuncio della morte di Lucy Salani, il suo omaggio è stato quello più ripreso dalla stampa nazionale. Da quando a febbraio ha assunto la guida del Partito democratico (Pd), la principale formazione di centrosinistra del paese, Schlein incarna l’opposizione a Meloni.
La sua vittoria alle primarie del Pd è stata il successo della cosiddetta ala movimentista, una galassia di organizzazioni della società civile attive nel campo dei diritti dei migranti, della difesa delle minoranze e della protezione dell’ambiente. Bisessuale, con un passaporto italiano, statunitense e svizzero, Schlein rivendica una genealogia cosmopolita: ebrei dell’Ucraina occidentale e statunitensi da parte di padre; intellettuali antifascisti e toscani da parte di madre. Dopo gli studi Schlein è stata volontaria nelle campagne elettorali di Barack Obama, nel 2008 e nel 2012. E Bologna ha avuto un ruolo fondamentale: “È la città dove mi sono formata, sia sul piano universitario che politico. È un luogo che insegna a celebrare la differenza, a partecipare alla vita civile, a impegnarsi”, ci ha detto a febbraio a Montecitorio, la sede della camera dei deputati, a Roma. “È da Bologna che viene la mia sinistra”. Schlein ha assunto la guida del Pd cinque mesi dopo essersi dimessa da vicepresidente dell’Emilia-Romagna, una regione storicamente di sinistra.
Intorno all’università
In questa città centrale, situata sull’antica frontiera dello Stato Pontificio, ai confini dell’industriosa pianura del Po e della catena degli Appennini, il progresso è sempre stato una questione di dialettica tra le autorità e chi le contesta. Bologna è la settima città d’Italia, ha quasi quattrocentomila abitanti, di cui un quarto studenti universitari. Ha molti soprannomi, come “Bologna la grassa”, che rivaleggia con “Bologna la rossa”.
La sua pianta sinuosa può ricordare le pieghe di un intestino e anche quelle di un cervello. Bologna è famosa per la cucina ricca di carni e salse, per il ragù di manzo macinato, i tortellini ripieni in brodo di cappone e i formaggi, ma anche per l’effervescenza della sua vita intellettuale che gravita intorno all’università, fondata nel 1088, la più antica d’Europa.
Da questo strano laboratorio che è “Bolo”, un altro dei soprannomi della città, è nata la maggior parte degli esperimenti politici e culturali che hanno trasformato l’Italia negli ultimi cinquant’anni. Il concilio Vaticano II, che ha modernizzato la chiesa cattolica all’inizio degli anni sessanta, è stato in gran parte preparato dal clero bolognese. L’entusiasmo sessantottino è stato caratterizzato dalle lotte studentesche e operaie bolognesi. Il movimento no global si è costruito nelle occupazioni fatte in città all’inizio degli anni duemila. Quello antisistema dei cinquestelle è nato in piazza Maggiore nel 2007, durante il Vaffa day. Così come quello delle Sardine, nato nell’autunno 2019 in reazione all’ascesa della Lega. Mattia Santori è stato uno dei promotori di questo slancio popolare, che si è diffuso prima su Facebook ed è stato fermato bruscamente dalla pandemia di covid-19.
Santori, poco più che trentenne e consigliere comunale con delega al turismo al comune di Bologna, si batte per Schlein. “La priorità è modernizzare la nostra comunicazione per coinvolgere chi volta le spalle alla politica”, dice. I suoi modelli di emancipazione li trova sia su OnlyFans, il sito apprezzato in tutto il mondo dai lavoratori del sesso, sia nei presepi di Benito Fusco, un ex militante di estrema sinistra diventato prete. Il suo cavallo di battaglia? Promuovere la pratica del frisbee, che considera meno legata al genere rispetto ad altre discipline. È felice che Bologna sia diventata l’epicentro di quest’attività.
In un paese votato alla religione del calcio, la città emiliana ama anche altri sport, come la pallacanestro. È la passione di Anthony Chima, figura fondamentale nel mondo delle associazioni locali. Chima ha sistemato un terreno in periferia, dove le prime e le seconde generazioni di ragazzi originari dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina giocano abbastanza in armonia. “Le nostre iniziative hanno attirato l’attenzione degli statunitensi”, dice. “Siamo anche in Hoop cities, un documentario sull’Nba”.
Nato in Nigeria, arrivato da bambino in Italia, Chima è passato attraverso molte città prima di stabilirsi a Bologna qualche anno fa. “Se un razzista viene da queste parti, non lo rimarrà a lungo. Parliamo, ascoltiamo, ci confrontiamo più che altrove”, dice. Non a caso il comune ha concesso la cittadinanza onoraria ai minori stranieri, una misura simbolica in un paese ancora basato sullo ius sanguinis, diritto di sangue. Per restituire lo spirito della sua città di adozione, Chima mostra il portafoglio pieno di tessere di associazioni di ogni tipo: “A Bologna sono molto più utili di una carta di credito”, afferma.
Invece Roberto Mantovani, figlio di uno spazzino e di un’infermiera, ha la passione per il baseball, come dimostra il rosso del suo cappellino con lo stemma dei Red Sox di Boston. “Quando per lavoro rimuovevo le auto ero la persona più detestata della città”, racconta. “Poi ho divorziato, sono diventato tassista ed è scoppiata la pandemia”. Durante i primi mesi di lockdown Mantovani si è messo a disposizione degli abitanti, trasportando gratuitamente prodotti alimentari e vestiti. Come rimborso accettava solo lasagne e tagliatelle fatte in casa.
Sui social network Mantovani ha conquistato una certa popolarità, che usa per sostenere le cause che gli stanno più a cuore: la Casa delle donne, un centro che lotta contro le violenze coniugali e sessuali, il cui logo rosa ricopre il suo taxi, o la sopravvivenza delle trattorie più autentiche. Le ha inserite nel volantino Tortellini tour, che dà ai clienti. L’obiettivo è contrastare la crescita incontrollata del turismo cominciata quando, una decina di anni fa, i voli delle compagnie low cost hanno trasformato l’aeroporto della città in un hub molto importante. La generosità di Mantovani ha le sue radici in un trauma collettivo. Il 2 agosto 1980 un attentato distrusse la stazione ferroviaria di Bologna uccidendo 85 persone e ferendone almeno duecento. Non è mai stato chiarito definitivamente chi siano stati i mandanti, anche se forti sono i sospetti sulla loggia massonica P2, presente nelle frange di destra del potere e preoccupata della terza via che rappresentava all’epoca Bologna, tra liberalismo e comunismo. “Avevo undici anni, andavo in bici con i miei amici quando sentii l’esplosione”, ricorda Mantovani. “Ci mettemmo paura e scappammo. Vissi quel momento con un sentimento di grande colpevolezza. Qui tutti conoscono la storia dell’autista che ha trasformato il suo autobus in un’ambulanza e dei bolognesi che hanno subito offerto aiuto”.
Non è come sembra
Mantovani ci riceve nell’ex monte di pietà riconvertito in trattoria e supermercato insieme alla sua futura moglie Annabella Milano, originaria della Puglia. Lavorano insieme, lui con gli occhi fissi sulla strada, mentre lei si occupa di diversi account sui social network.
“Bologna è una città cattocomunista americanofila”, dice la donna con un certo senso dell’umorismo. “Forse per questo ho scelto di viverci”. I due si sposeranno in piazza Maggiore. Lì c’è la Linea, un bar anarchico in cui va spesso anche un amico di Mantovani, lo scrittore Carlo Lucarelli. Specializzato in gialli, Lucarelli ha fatto del tassista uno dei suoi informatori privilegiati: “Fa il turno di notte e quello che vede m’illumina e ispira. È un personaggio del mio ultimo libro”, dice.
La scrittura di Lucarelli è visuale e lo è ancora di più di fronte a una città che, secondo lui, si sottrae agli sguardi. “Uno dei simboli di Bologna sono i portici: ci proteggono dal cielo e allo stesso tempo ci nascondono”, dice. “La storia della città è costellata da tragedie irrisolte, da misteri che contrastano con la sua tradizione di ospitalità: l’attentato alla stazione nel 1980; l’incidente del volo Bologna-Palermo al largo dell’isola di Ustica lo stesso anno; le imprese della banda della Uno bianca, un’organizzazione criminale formata soprattutto da poliziotti di estrema destra tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta”. Lo scrittore c’invita ad ammirare la statua di Nettuno, scolpita nel Rinascimento. “Guardate il suo sesso, la chiesa aveva chiesto che fosse di dimensioni modeste. Ma se l’osservate bene da dietro, da un certo angolo, che evoca il grosso dito di Nettuno? Un fallo divino in erezione. Bologna non è mai quello che sembra”.
Loriano Macchiavelli fa parte dello stesso collettivo letterario di Lucarelli, il Gruppo 13. Figlio di un partigiano, originario di un villaggio degli Appennini, ha trovato rifugio a Bologna. “Mi sentivo in debito nei confronti di questa città, che aveva offerto un tetto alla mia famiglia dopo la liberazione. Ho diretto delle compagnie di teatro popolare negli anni sessanta e settanta. Recitavamo per gli operai, i contadini e gli studenti”, dice Macchiavelli dall’alto dei suoi 89 anni. “Poi negli anni ottanta il clima è diventato più pesante. E ho cominciato a scrivere romanzi gialli”.
Le tragedie, anche se hanno segnato la città, non hanno intaccato il nucleo della sua identità, quella fibra collaborativa che la caratterizza al di là delle generazioni e degli schieramenti. Lucarelli e Macchiavelli crearono il Gruppo 13 nel 1990 insieme a otto colleghi per “rovesciare il rapporto di forza tra scrittori ed editori, che disprezzavano il genere giallo”. Ma il loro è solo uno dei numerosi collettivi che segnano la vita culturale bolognese.
I sogni si realizzano
Una quarantina di anni fa il fumettista, musicista e regista Igor Tuveri, noto come Igort, ne animò diversi. “Quando nel 1980 il comune fece esibire in piazza Maggiore i nostri idoli, i Clash, tutto il pubblico, me compreso, li ascoltò di schiena”, racconta. “Volevamo mostrare la nostra opposizione alle violenze della polizia di cui era stata complice la giunta comunista. Una rivolta a modo nostro, un po’ dadaista”, aggiunge. Secondo Igort – che è tornato nella città emiliana dopo un lungo periodo negli Stati Uniti, in Francia e in Sardegna – i bolognesi conservano il loro carattere insofferente e creativo. Il fumettista vuole trasformare questa città rinascimentale in un centro multidisciplinare, “una sorta di Factory di Andy Warhol dedicata alle culture asiatiche. Nonostante le tensioni, la dialettica tra i poteri pubblici e la cultura alternativa funziona molto meglio che a Parigi o a New York. Bologna è così ricca culturalmente anche perché ha una dimensione vivibile”.
È una città di scrittori e librerie, e ognuna racconta un capitolo della sua storia movimentata. A due passi dalla Biblioteca italiana delle donne – la più importante del paese sulla cultura femminile – una signora con lo sguardo da sfinge è seduta in mezzo a pile di vecchi libri. Il suo negozio si chiama Libri liberi: chiunque prende o porta i libri che desidera, senz’altra forma di transazione. La proprietaria, Anna Hilbe, faceva parte di Lotta continua, una formazione della sinistra extraparlamentare. “La lotta continua, ma le armi sono cambiate”, dice mentre dalle casse si diffonde la voce di Ella Fitzgerald.
Giorgio Santangelo ha 32 anni e ha aperto una libreria più in linea con i canoni della sua generazione, tutta colori pastello e adatta a essere fotografata e pubblicata su Instagram. Si chiama La confraternita dell’uva in omaggio al romanzo scritto nel 1977 dallo statunitense John Fante sulle vicissitudini di alcuni immigrati italoamericani.
Santangelo è arrivato da una zona isolata della Puglia con la testa piena di idee. “La storia ricca di questa città fa sognare i provinciali come me. Si arriva con un progetto e in un modo o nell’altro si finisce sempre per realizzarlo. È un miracolo”, dice parafrasando il più famoso intellettuale dell’università di Bologna, il semiologo Umberto Eco (1932-2016), le cui teorie sulla permeabilità tra realtà e finzione hanno influenzato generazioni di studenti.
“È qui che Pasolini ha affilato il suo spirito critico e il suo stile così pittorico”
Quelle lezioni hanno alimentato i Wu Ming, un collettivo culto e occulto di scrittori bolognesi. Autonomia e anonimato sono le loro parole d’ordine. I loro libri, firmati con uno pseudonimo, smontano le motivazioni del complottismo contemporaneo, ispirando loro malgrado una nebulosa di cospirazionisti, compresi quelli che seguono la teoria QAnon.
Firmata Wu Ming 2, la guida non turistica di Bologna è esposta bene in evidenza sugli scaffali di Modo infoshop, una libreria amica del collettivo. Anche i suoi fondatori, Fabio Pugliese e Andrea Di Carlo, sono arrivati a Bologna pieni di sogni dalla provincia. Hanno cinquanta e quarantasette anni e raccontano di aver vissuto l’epoca d’oro delle occupazioni, il successivo recupero di questi spazi alternativi da parte dei poteri locali e la “trasformazione di Bologna in una città di negozi”. La loro libreria ospita anche una tipografia e una casa editrice. Una delle ultime pubblicazioni è un pamphlet firmato da Franco Berardi detto Bifo.
Questo pimpante settantenne, un vecchio leone bolognese passato attraverso il carcere, infierisce contro il “geronto-fascismo” di Giorgia Meloni: “Mussolini raccomandava il culto della gioventù. Meloni invece parla a un paese di vecchi, terrorizzati dalla paura della loro scomparsa”. La sua critica non risparmia neanche il “semio-capitalismo” della Silicon valley, che minaccerebbe la roccaforte bolognese: “Gli studenti non riescono più a trovare un posto in cui dormire, tutte le case sono affittate su Airbnb a prezzi proibitivi. I ristoranti stanno più attenti alle loro storie su Instagram che alla cucina. Ai tempi delle radio libere degli anni settanta, prendevo in giro Umberto Eco perché interveniva alle nostre assemblee. Pensavo che fosse ambiguo. Ma quello che diceva si è rivelato vero: è proprio quando conquista il linguaggio e il sapere che il capitalismo diventa più pericoloso. Tutto cambiò nel 1985, quando Fabio Alberto Roversi Monaco diventò rettore dell’università. Oggi lavora nella finanza. Da allora Bologna si sta normalizzando”.
Ma non bisogna fidarsi del suo atteggiamento da anarchico disperato. Da buon bolognese, Bifo non ha perso lo spirito dialettico e si è unito a figure di spicco del clero locale come l’arcivescovo Matteo Zuppi, di cui si dice che potrebbe succedere a papa Francesco e che ha fatto scandalo complimentandosi per l’offerta di tortellini ripieni di pollo invece che di maiale ai più poveri, tra cui molti musulmani. “Anche se non sono credente mi piace ogni tanto andare in chiesa a cantare”, dice Bifo. A volte lì incontra l’ex presidente del consiglio di centrosinistra Romano Prodi. “Discutiamo davanti all’altare. E se non fossimo poi così diversi?”.
Le tragedie non hanno intaccato il nucleo dell’identità di Bologna
La nuova generazione di attivisti non ha tempo di farsi queste domande. La cosa più importante è l’azione. Come le femministe di La mala educación, che moltiplicano le azioni di sensibilizzazione all’interno e all’esterno dell’università: “Anche in una città progressista come Bologna rimane molto da fare”, dice Giada, studente di lettere. “Nel 2021 c’è stato un femminicidio in facoltà, nell’indifferenza generale”.
Confrontarsi con il passato
Un altro esempio d’impegno è quello del Cassero, l’associazione più emblematica della comunità lgbt+: “Nel 2002, quando la chiesa si riprese i nostri locali, organizzò una messa di purificazione”, ricorda la presidente Camilla Ranauro. “Purtroppo a Bologna, e ancora di più nel resto d’Italia, le discriminazioni sono diffuse. Ragazzi calabresi e siciliani chiamano il nostro numero semplicemente per non sentirsi soli. Da quando nel 1256 fu la prima città in Europa ad abolire la servitù della gleba, Bologna è sempre stata all’avanguardia nelle lotte”.
Quelle di Resistenze in Cirenaica si radicano proprio nel passato. I suoi attivisti conducono una “guerriglia dei nomi propri” in Cirenaica, uno dei quartieri più multietnici di Bologna, in gran parte costruito sotto il fascismo. La sua toponomastica fa riferimento alla Cirenaica, una regione della Libia orientale dominata dall’Italia tra il 1911 e il 1943. “Organizziamo dei trekking urbani per ricordare il legame tra i nomi delle strade e le guerre coloniali del fascismo”, spiega Stefano D’Arcangelo, musicista e attivista del collettivo. “L’Italia ha votato per Giorgia Meloni anche perché non ha saputo confrontarsi abbastanza con il suo passato”.
La francese Dgiorgia Chaix-Saurin si è trasferita a Bologna poco prima dell’inizio della pandemia per studiare storia dell’arte. Le cugine Sonja e Inès, che a Bologna studiano veterinaria, sono rimaste sorprese dal suo cambiamento: “A Parigi Dgiorgia era una persona tranquilla, una tipica radical chic di Montmartre. Qui invece partecipa a tutte le lotte”.
“A Bologna mi sono subito sentita a mio agio”, dice la ragazza. “Sono meno bloccata che a Parigi. Il mio piercing non dà fastidio. Anzi”.
Gianluca Notari, uno dei suoi compagni di lotta, fa un discorso simile: “Mi capita di andare in giro in gonna e truccato. A Roma o a Milano, dove ho vissuto, mi avrebbero picchiato”. Ma l’afflusso di turisti è un problema, si lamenta questo giovane giornalista: “Ci sono meno monumenti o musei rispetto a Roma, Venezia o Firenze. Ma Bologna attira per la sua semplice promessa di un buon pasto. Qui l’arte dello storytelling è così sviluppata che si sa vendere anche il vuoto”. L’amministrazione comunale di centrosinistra si batte, a fianco di città come Firenze e Venezia, per convincere il governo a disciplinare gli affitti brevi. Però non basta, se dobbiamo dare credito a uno dei mille graffiti che tappezzano i muri ocra e arancioni della città: “Strike Airbnb”, colpisci Airbnb.
Scatole cinesi
Le azioni improvvise sono la specialità del collettivo internazionale Extinction rebellion. Negli ultimi mesi i suoi attivisti hanno bloccato l’autostrada e la tangenziale per protestare contro il progetto di un loro futuro allargamento, hanno manifestato davanti alla sede della tv pubblica per promuovere la diffusione di notizie sulla crisi climatica e hanno disegnato animali su una gru per denunciare il sostegno della regione Emilia-Romagna agli allevamenti intensivi. L’economia locale si basa su tre pilastri inquinanti: il settore agroalimentare, l’industria dell’auto e quella degli imballaggi. “Vengo dalla Basilicata, una regione molto più rovinata dalle industrie fossili”, afferma Pasquale Pagano, trent’anni. “Ma per me ha più senso agire qui, in un’area cosiddetta ‘modello’. L’università ha inaugurato un master di ingegneria sponsorizzato dall’Eni, il gigante italiano del petrolio. Vi rendete conto?”.
In comune ricordano che Bologna sarebbe la città in Italia in cui si vive meglio, secondo la classifica di dicembre 2022 del giornale economico Il Sole 24 Ore. E puntano più che mai sull’innovazione. Insediato in un’ex fabbrica di sigarette, il Tecnopolo ospita alcuni dei supercalcolatori più potenti d’Europa. Testa di ponte del progetto per creare una Data valley incentrata sull’economia della conoscenza, questo centro ha tra i suoi obiettivi quello di misurare gli effetti del cambiamento climatico nell’intero continente. “Le città sono piattaforme che attirano, collegano, qualificano. La nostra è basata sul sapere. Ecco in cosa investiamo”, dice Raffaele Laudani, assessore all’urbanistica. Non c’è da stupirci quindi se il celebre istituto Aldini Valeriani, fondato nel 1844, propone dei corsi di realtà virtuale.
Del resto è proprio Bologna la sede dell’azienda italiana che nel 2022 ha presentato il maggior numero di brevetti, la Coesia, specializzata in imballaggi. La sua presidente, Isabella Seragnoli, ha dato alla città la fondazione Mast, le cui mostre seducono il mondo della fotografia, e ha fatto costruire diversi centri medici, compreso uno progettato dall’architetto Renzo Piano. “Bologna si trasforma, ma non abbastanza in fretta”, afferma l’imprenditrice filantropa durante un vernissage.
Non abbastanza in fretta? La capitale della mortadella è sempre stata flessibile, osserva il giornalista Giorgio Comaschi. “Siamo i re dell’imballaggio dal medioevo. Molto presto gli edifici si sono fatti spazio sulla strada per ospitare gli studenti. Questo ha portato alla creazione dei portici che li sostengono. Lo stesso vale per la gastronomia, che risponde alla necessità di accogliere come si deve gli stranieri di passaggio”.
Comaschi accompagnò nei suoi giri notturni la gloria locale della canzone, Lucio Dalla, a cui ha dedicato un libro. “In Lucio tutto era rotondo: gli occhiali, il volto, la città”, dice. Bologna è un insieme di scatole cinesi, sull’esempio delle sue sette chiese, che si mescolano le une con le altre in piazza Santo Stefano. Tutto s’incastra. Per esempio la parola popolare per indicare i preservativi, i goldoni, deriva proprio dal bolognese Franco Goldoni, il fondatore dell’azienda di profilattici Hatù.
E se la città ha accolto tante avanguardie – dalle performance senza vestiti dell’artista serba Marina Abramović ai concerti dello statunitense John Cage sui treni – lo deve proprio alla scienza, plastica e antica, dell’imballaggio. Qui gli artisti, arrangiatori, editori, galleristi o anche imprenditori, sono sempre ben circondati. Il più famoso di questi uomini ombra si chiama Gian Luca Farinelli e dirige la cineteca della città. Il suo amico, l’agente e produttore Beppe Caschetto, lo vedrebbe bene tra qualche anno come sindaco: “Farinelli ha fatto di Bologna la capitale mondiale del film d’autore. E se Martin Scorsese ha accettato di presiedere la cineteca è per stima e amicizia nei suoi confronti”.
I due mangiano spesso da Serghei, una trattoria tipica frequentata da vecchie giocatrici di carte. “Quando Marcello Mastroianni passava da Bologna riservava qui il suo tavolo per tutta la settimana”, dice il proprietario Saverio Pasotti, che è stato chitarrista in un gruppo rock. Pasotti rifiuta di confermare una voce che circola, secondo cui la trattoria, situata vicino all’ex consolato sovietico, deve il suo nome ad agenti del Kgb che la frequentavano regolarmente.
Bologna, la città più comunista del paese più comunista dell’Europa occidentale durante la guerra fredda, fu anche un covo di spie. Nel 1975 fu spettacolarmente arrestata una talpa della Cia, Ronald Stark. Del resto la sede bolognese dell’università Johns Hopkins, aperta nel 1955, continua a formare la crema dell’intelligence occidentale.
Farinelli ricorda il modo “così particolare” con cui gli abitanti commemorano il loro pesante passato. “Al museo per la memoria di Ustica i resti dell’aereo convivono con un’installazione dello scultore francese Christian Boltanski. E l’avvocato delle vittime dell’attentato del 2 agosto 1980 ha studiato cinema all’università. L’arte e la storia non sono mai lontane, così come la chiesa e i comunisti, come nei film di don Camillo o di Pier Paolo Pasolini”. E anche se Pasolini inveiva contro il miscuglio di “consumismo e comunismo” tipico della città in cui era nato e aveva fatto parte degli studi, “è proprio qui che ha affilato il suo spirito critico e il suo stile così pittorico”.
Dopo aver mangiato i tortellini, Farinelli infila la sua giacca di tweed sulla quale ha appuntato un fiore offerto da Nicolas Seydoux, il presidente della casa di produzione Gaumont. Andiamo verso piazza Maggiore, dove la cineteca sta restaurando il Modernissimo, un cinema da quattrocento posti che dovrebbe riaprire in autunno. Negli ultimi giorni di gennaio la piazza è diventata il teatro di una nuova rivolta: il regista Marco Bellocchio stava finendo le riprese di Rapito. È la storia di un bambino ebreo portato via dalla sua famiglia dal Vaticano, intorno alla metà dell’ottocento. Alcuni attori, in abiti d’epoca, a un certo punto hanno lanciato in aria il loro cappello al grido di “Abbasso il papa”. In cerca di comparse un produttore si è rivolto a Farinelli: “Stiamo cercando spie, preti e insorti. Ti interessa?”. “Ci penso e ti faccio sapere”, gli ha risposto il direttore della cineteca, prima di addentrarsi nelle vie della città . ◆adr
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1520 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati