Franco Gussalli Beretta, seduto al tavolo di una sala riunioni con dipinti che raffigurano pernici e altri volatili abbattuti da fucili invisibili, ammette che c’è preoccupazione nell’industriosa provincia di Brescia, dove la sua dinastia regna da quindici generazioni. Presidente del gruppo Beretta, che produce armi, l’imprenditore guida anche la sede locale di Confindustria. “Negli anni ottanta e novanta la globalizzazione e la concorrenza di paesi con manodopera a basso costo ha spazzato via il settore tessile bresciano. Poi è stata la volta del settore degli utensili da cucina. Sono sparite le industrie a basso valore aggiunto, mentre altre aziende sono riuscite a resistere salendo di livello”, racconta il dirigente del gruppo industriale che nel 2022 ha registrato un volume d’affari di 1,4 miliardi di euro. “Oggi la nostra provincia è all’alba di una nuova crisi che potrebbe avere implicazioni simili”.

Affari di famiglia

In effetti tira una brutta aria in questa zona a due passi dal confine svizzero, che racchiude le singolarità e le eccellenze dell’Italia, terza potenza industriale europea. Il problema è che in Germania le cose vanno male: il suo mercato, a cui l’economia bresciana è strettamente legata, non è più un riferimento sicuro. L’economia è in stagnazione e il futuro politico è pieno di incertezze.

I fabbricanti di componenti per auto del bresciano, a cui si rivolgono le case automobilistiche dalla Germania, temono il calo del mercato tedesco e si aspettano di essere danneggiati dal passaggio globale ai veicoli elettrici. Secondo Confindustria, in Italia il settore dell’auto è calato del 26,1 per cento tra il luglio 2023 e il luglio 2024, tornando ai livelli del 2013, mentre la componentistica lamenta un calo del 21,7 per cento.

“La dimensione più dinamica dell’industria italiana, di cui Brescia è un esempio, è rappresentata dalle piccole e medie imprese e dalle aziende di famiglia. Sono attive soprattutto nel business to business, hanno un alto livello di specializzazione e si rivolgono al mercato internazionale”, spiega Andrea Colli, docente di storia economica all’università Bocconi di Milano.

Ha l’aspetto di una piccola capitale, perfino con il lusso di una metropolitana

Con 1,62 milioni di abitanti e un prodotto interno lordo di 45,5 miliardi di euro, la provincia di Brescia ama rappresentarsi come un piccolo stato innestato sulle economie del Nordeuropa e poco legato a Roma. Nel 2023 ha registrato 10,2 miliardi di saldo commerciale positivo. Con tredicimila aziende manifatturiere, è al quarto posto tra le provincie industriali dopo Milano, Roma e Torino, città molto più popolose.

I giacimenti di ferro del bresciano causarono una prima rivoluzione industriale con lo sviluppo della siderurgia. Nelle valli prealpine sorsero le prime unità produttive all’origine delle grandi famiglie imprenditrici ancora dominanti, mentre a sud, nella pianura padana, si è sviluppato il settore agroalimentare. Brescia, capoluogo con duecentomila abitanti, per un quarto stranieri, ha l’aspetto di una piccola capitale. Le strade impeccabili del centro sono fiancheggiate da negozi e la città si è concessa il lusso di una linea di metropolitana. Le banche finanziano l’economia locale, una ha la sede nel grattacielo Crystal palace, che sul tetto ha addirittura un eliporto.

In un ristorante del centro, dove la cucina lombarda, con le sue carni e il suo burro, ci porta lontano dalla frugalità mediterranea, incontro Jacques-Olivier Binet, responsabile qualità della Yamaha Europa nella fabbrica francese di Saint-Quentin. Binet è in visita nella regione con i suoi fornitori, ed è ammirato “dall’etica del lavoro”, di cui va fiera la provincia, che descrive come un “magnifico territorio industriale”. “Sono riusciti a imporsi con produzioni di nicchia e di qualità molto alta”, afferma.

È stato così che la competenza di Brescia in materia di componenti automobilistiche o di macchine utensili ha conquistato la Germania, tanto che gli attori economici si definiscono volentieri abitanti del “diciassettesimo land” della Repubblica federale tedesca. La provincia bresciana ha esportato merci per 4,5 miliardi di euro nel 2023, con un saldo positivo di 1,9 miliardi di euro. “La Germania ha offerto degli sbocchi alla nostra industria quando la crescita è rallentata, a partire dai primi anni sessanta”, spiega Gussalli Beretta. “I tedeschi hanno cominciato ad apprezzarci. Più che clienti sono diventati modelli da imitare. Oggi, però, qualcosa si è inceppato”. A Brescia, in effetti, la recessione tedesca preoccupa, dato che per il 2024 è prevista una diminuzione del pil dello 0,2 per cento. La crisi legata al crollo di un modello basato sull’importazione del gas russo e sulle esportazioni in Cina potrebbe trascinare con sé anche le filiere. È il caso del settore auto, colpito da un calo della produzione, dalla debolezza del mercato dell’auto elettrica e frenato dalle difficoltà del gruppo Volkswagen, che minaccia di chiudere fabbriche e di tagliare migliaia di posti di lavoro.

“Io mi sento per metà tedesco!”, scherza Giuseppe Pasini, presidente della Feralpi, il gruppo siderurgico della famiglia, alla guida di una Audi con targa tedesca. “La Germania che ho conosciuto io però non esiste più. Per me era un mito, un paese che funzionava, con i treni che partivano in orario. Oggi preferisco l’Italia”. La Feralpi negli anni novanta ha preso il controllo di un impianto sul territorio dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, durante la fase delle privatizzazioni dopo il crollo del muro di Berlino. Oggi intravede una possibilità nel mercato polacco.

Altrettanto preoccupato è Mario Gnutti, vicepresidente del consiglio di amministrazione della Carlo Gnutti, l’azienda di famiglia, che costruisce componentistica, una multinazionale in miniatura, con le sue dodici fabbriche in Europa, Asia e Nordamerica. Tra i suoi clienti ci sono la Volkswagen, la Bmw, la Mercedes-Benz, la Daimler, il grande fornitore del settore automobilistico tedesco Zf Friedrishshafen e, fuori dal settore dell’auto, la Bosch e la ThyssenKrupp. “Tutte le spie segnano rosso. La nostra azienda registra un calo significativo del volume d’affari, un calo dei margini e un aumento dei costi”, spiega Gnutti. “Con i tedeschi c’è un’incertezza mai vista: un mese abbiamo un picco di richieste, poi c’è un forte rallentamento. Capiamo che non sanno che fare”. Nel secondo trimestre del 2024 le esportazioni di Brescia verso la Germania sono scese del 14,8 per cento. Le gravi difficoltà del settore automobilistico non riguardano solo la Germania, ma tutta l’Europa, così come gli effetti negativi sulla filiera dovuti alla transizione verso l’auto elettrica. Gli imprenditori del “diciassettesimo land” danno però la colpa a Berlino della crisi in corso. “La messa al bando dei motori termici nel 2023 non sarebbe mai stata approvata senza l’avallo della Germania, e noi ne subiamo gli effetti. Era necessario stabilire degli obiettivi di sostenibilità senza imporci una tecnologia in particolare”, commenta Pasini.

Oltre il mercato europeo

Nella sala riunioni del gruppo di componentistica Omr non ci sono scene di caccia, ma un’esposizione di modelli in scala delle monoposto Ferrari di formula 1. L’azienda, presieduta da Marco Bonometti, sponsorizza la scuderia italiana e fa parte di questo mondo che non vuole scomparire, plasmato dalle energie fossili e dai motori termici: “Se in futuro non sarà più possibile lavorare in Europa andremo altrove”. Bonometti si lamenta della scarsa competitività nel continente e dice di essere soddisfatto per l’avanzata dell’estrema destra in Germania e in Europa perché è contraria alle normative di tutela dell’ambiente e poi ricorda con entusiasmo che in Indiana, negli Stati Uniti, la sua volontà d’investire è stata accolta dalle autorità dello stato che gli hanno offerto “terreno, locali, hangar…”.

Il declino della Germania e dell’Europa costringe Brescia a trovare nuovi mercati. “Le difficoltà tedesche sono strutturali e serve un cambiamento di strategia”, avverte Gnutti, che vuole incrementare la produzione di generatori per i data center necessari allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. “Dobbiamo andare oltre il mercato europeo”, afferma Pasini, presidente della Feralpi, “ma in Nordafrica, per esempio, incontriamo turchi e cinesi, che sono più competitivi di noi perché in Italia dobbiamo sostenere costi più alti per l’energia e le materie prime”. Il tema delle possibilità di sviluppo in Africa è tornato d’attualità in Italia, da quando la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha lanciato il suo piano per il continente africano, fatto di investimenti e partenariati economici che dovrebbero coinvolgere le grandi aziende del paese. La Volkswagen africana è però ancora ben lontana e il grande disegno continentale di Roma fatica a materializzarsi. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati