Tra i posti di guardia israeliani nel nord della Striscia di Gaza, dove i soldati possono contare su un rifornimento costante di acqua e viveri, vagano centinaia di migliaia di palestinesi assetati e affamati che sopravvivono nutrendosi di mangime per il pollame, erba e acqua inquinata. Non sappiamo se osservatori indipendenti israeliani o palestinesi saranno in grado di determinare cos’abbia causato il maggior numero di morti tra le persone che aspettavano gli aiuti alimentari il 29 febbraio. Israele non permette ai giornalisti stranieri di entrare a Gaza, così può liquidare come faziosi i resoconti dei giornalisti palestinesi. Inoltre in Israele tutte le agenzie delle Nazioni Unite sono considerate collaboratrici di Hamas, quindi le dichiarazioni dei vari dipendenti dell’Onu secondo cui la maggior parte dei feriti aveva ferite da proiettile saranno derubricate come “di parte”.
In ogni caso, sparare su una folla di persone che aspettavano la farina da ore mostra che i comandanti israeliani non si sono resi conto che a Gaza i palestinesi rischiano di morire di fame. Se anche hanno capito la gravità della situazione, a quanto pare non l’hanno comunicata ai loro subordinati. Altrimenti le forze armate si sarebbero preparate all’arrivo dei camion e avrebbero istruito adeguatamente i soldati. I comandanti non avrebbero permesso ai loro sottoposti d’interpretare come una minaccia la tragica vista di migliaia di persone affamate e assetate che si precipitavano verso i camion degli aiuti.
La condotta fallimentare dei soldati il 29 febbraio – che ha portato alla morte di 118 civili – si può spiegare con il fatto che i comandanti israeliani s’informano solo sui mezzi d’informazione nazionali, i quali raramente si occupano di eventi che non possano essere giustificati come attacchi contro i terroristi. Mostrano invece tolleranza e comprensione di fronte alle immagini di soldati che umiliano e abusano i palestinesi, immagini condivise sui social media dagli stessi militari. L’errore indica una negligenza da dilettanti, se non altro dal punto di vista delle relazioni pubbliche e della diplomazia.
Israele e le sue forze armate dovranno presto cercare di convincere la Corte internazionale di giustizia dell’Aja che stanno effettivamente permettendo l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza come una delle misure per prevenire il genocidio. L’esercito deve collaborare con il coordinatore delle attività governative nei territori (parte del ministero della difesa israeliano), che pubblica quotidianamente informazioni in inglese sui camion di aiuti autorizzati a entrare a Gaza e cerca con tutte le sue forze di dare l’impressione che Israele stia facendo tutto il possibile affinché i civili palestinesi bombardati abbiano di che sfamarsi.
Senza protezione
I governi occidentali appoggiano Israele e sostengono la sua guerra, che anche per questo continua. A quanto pare non sono d’accordo con quanto dicono i palestinesi: cioè che la popolazione di Gaza è affamata di proposito, come richiedono le frange più estreme del governo di estrema destra israeliano in base alla teoria, che già si è rivelata sbagliata, secondo cui più pressioni si fanno più rapidamente gli ostaggi saranno rilasciati.
Ma l’occidente ascolta anche gli allarmi lanciati dalle organizzazioni umanitarie internazionali sulla carestia e sulla fame. Dalla metà di dicembre questi organismi denunciano la fame in aumento, soprattutto nel nord di Gaza, dove i bombardamenti e le operazioni di terra hanno distrutto i raccolti e gli allevamenti. Le scorte alimentari si sono esaurite o sono state distrutte. Israele ha ostacolato il coordinamento nella consegna degli aiuti e del carburante.
Inoltre, con l’aggravarsi della carestia aumentano anche gli episodi di “distribuzioni spontanee”, come le organizzazioni umanitarie chiamano le incursioni sui camion fatte da singoli o gruppi per prenderne il carico. Un’altra ragione dello scarso numero di camion è che gli autisti temono per la loro vita, perché nessuno li protegge dalle bande armate che saccheggiano le merci per venderle al mercato nero. È difficile verificare in modo indipendente l’entità delle razzie che Hamas compie per rifornire di vivere i suoi miliziani. Ma i residenti di Gaza raccontano anche di poliziotti mandati a proteggere i convogli e uccisi dall’esercito israeliano. Al di fuori di Israele, hanno avuto un’ampia risonanza gli annunci delle agenzie dell’Onu che non cercheranno più di consegnare i rifornimenti nel nord di Gaza a causa dei numerosi ostacoli. Il 29 febbraio il segretario generale del Norwegian refugee council, il diplomatico Jan Egeland, ha detto di aver visto bambini “visibilmente malnutriti, ridotti a cercare da mangiare e aiuto per le strade”. Riferendosi al sud di Gaza, ha commentato: “È inimmaginabile che un’intera popolazione sia lasciata morire di fame mentre grandi quantità di provviste sono ferme a pochi chilometri di distanza”. Il ministero della sanità di Gaza, gestito da Hamas, ha riferito che diciotto bambini sono morti di recente per malnutrizione e disidratazione.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari riferisce che il rischio di morire di fame a Gaza colpisce in modo sproporzionato i bambini e le donne incinte. Su 416 donne in stato di gravidanza che si sono rivolte alla clinica del progetto Hope a Deir al Balah tra il 5 e il 24 febbraio, circa un quinto mostrava segni di malnutrizione, una condizione che aumenta i rischi di emorragia post partum, potenzialmente letale, di parto prematuro e di neonati sottopeso.
Forse i comandanti e i loro soldati pensano che sia tutta propaganda di Hamas. Forse deducono dai rapporti in inglese del Cogat, l’ente militare israeliano per gli affari civili a Gaza, che la fornitura di viveri ai palestinesi è costante e sufficiente, e forse pensano che i palestinesi che assaltano i camion siano solo criminali.
Gli spari del 29 febbraio contro o verso la massa di persone affamate non sono stati un incidente casuale dovuto alla stanchezza mentale. Rispecchiano lo spirito militare che ha preceduto il massacro del 7 ottobre e si è intensificato subito dopo: da un lato, il disprezzo per i palestinesi, considerati come persone meno degne degli israeliani, e dall’altro, la loro criminalizzazione come gruppo che rappresenta una minaccia per definizione.
Se è accettabile bombardare gli edifici residenziali e i civili che ci abitano perché all’interno c’è un singolo dirigente di Hamas, allora si è autorizzati a sparare alle persone al buio, senza tenere conto che genitori affamati e anziani o figli piccoli stanno aspettando il loro ritorno a casa con un po’ di farina. ◆dl
Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.
Amira Hass è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, e scrive per il quotidiano Haaretz.
◆ Un rapporto delle Nazioni Unite del 4 marzo afferma che una squadra di esperti inviata in Israele e in Cisgiordania ha trovato informazioni “chiare e convincenti” su stupri e torture di natura sessuale compiuti dai militanti di Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre 2023. Secondo la rappresentante dell’Onu per la violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten, ci sono motivi fondati per credere che Hamas e altri gruppi continuino a infliggere queste violenze alle persone ancora prigioniere. Gli esperti hanno raccolto anche denunce e testimonianze di trattamenti crudeli e degradanti, comprese violenze sessuali, subiti dai detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati