Il sindaco di un piccolo centro ungherese, fedelissimo di lungo corso di Fidesz, il partito al governo a Budapest, non molto tempo fa ha commesso quello che lui stesso ha definito un “suicidio politico”: si è messo contro il progetto di un’enorme fabbrica cinese di batterie, un investimento da 7,8 miliardi di dollari promosso dal primo ministro Viktor Orbán, che tollera poco il dissenso. “È come stendersi davanti a un rullo compressore. Spero solo che non mi passi sopra troppo presto”, ha detto Zoltán Timár, sindaco di Mikepércs, commentando la sua decisione di schierarsi dalla parte degli abitanti contrari all’impianto.

La fabbrica, che sarebbe la più grande nel suo genere in Europa, è frutto di un’oscillazione diplomatica ed economica che ormai da un anno sta vedendo Orbán allontanarsi dall’occidente e avvicinarsi a paesi come la Cina e la Russia. Potrebbe mettere l’Ungheria al centro di una transizione ecologica difficile e, per alcuni, molto redditizia, basata sulle auto a motore elettrico.

Tuttavia, gli abitanti di Mikepércs, una roccaforte di Fidesz nell’Ungheria orientale, sono furiosi per l’arrivo di bulldozer e camion che dovranno preparare il terreno alla struttura. Molti temono che il progetto inquinerà, prosciugherà le riserve d’acqua e farà arrivare molti lavoratori cinesi e di altri paesi. A gennaio due audizioni pubbliche nella vicina città di Debrecen, sono sfociate in risse e accuse di “tradimento” urlate ai funzionari da cittadini preoccupati per la salute e per il valore delle loro case.

Dietro la confusione, però, ci sono due questioni importanti e strettamente legate tra loro: la Cina e la crisi climatica. Il disaccordo su come affrontare entrambe ha fatto precipitare nel caos Mikepércs, una cittadina di 3.500 abitanti. Nel tentativo di dominare le nuove tecnologie fondamentali per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, la Cina ha speso decine di miliardi di dollari in agevolazioni fiscali e altri sussidi ai suoi produttori di auto elettriche. Ora è il principale costruttore al mondo di batterie per veicoli elettrici. In questo settore la sua azienda di punta è la Contemporary amperex technology Ltd (Catl), la stessa del progetto ungherese.

Accuse di corruzione

Nell’agosto 2022 l’Ungheria ha annunciato che la fabbrica di batterie sarà il più grande investimento straniero nella sua storia, e dovrebbe creare novemila posti di lavoro. I precedenti progetti cinesi in Ungheria – in particolare una ferrovia ad alta velocità da quasi tre miliardi di dollari tra Budapest e Belgrado, in Serbia – erano stati funestati da ritardi e accuse di corruzione.

Ora la fabbrica di batterie è stata accolta da fortissime resistenze, innanzitutto degli abitanti del posto e poi dei politici dell’opposizione e degli attivisti. Gergely Karácsony, sindaco di Budapest e importante critico liberale sia di Orbán sia della Cina, di recente ha cambiato i nomi a diverse strade della capitale intitolandole, per esempio, “Via Hong Kong libera”. Karácsony ha dichiarato che “la gigantesca fabbrica cinese è un simbolo del modello ungherese di capitalismo”, basato su “stipendi, standard ambientali e protezioni per i lavoratori molto bassi. In Ungheria abbiamo il socialismo per le élite e il capitalismo per le masse”.

Più preoccupante per il governo è la crepa, piccola ma molto insolita, che si è aperta in Fidesz. Nel tentativo di contenere il malcontento tra i suoi sostenitori, il partito ha messo in campo il suo vasto apparato di propaganda dipingendo le proteste contro la fabbrica di batterie come l’attività di agitatori esterni pagati dal finanziere di origini ungheresi George Soros, il cattivo per tutte le stagioni del partito al governo, e di “finti” residenti mobilitati dall’opposizione.

I problemi di Fidesz sono cominciati a novembre del 2022, quando a Mikepércs un gruppo di donne arrabbiate per non essere state consultate sul progetto cinese ha indetto la prima protesta. Il sindaco Timár ha organizzato degli incontri in comune e ha invitato la Catl a rispondere alle preoccupazioni degli abitanti. L’azienda però, racconta Timár, gli ha risposto di essere “troppo impegnata” per inviare qualcuno.

Il sindaco di Debrecen, László Papp, anche lui di Fidesz e convinto sostenitore dell’impianto cinese, ha ammesso che molti cittadini erano arrabbiati, ma secondo lui tutto era dovuto principalmente alle “molte informazioni false” sulla quantità di acqua che la fabbrica dovrebbe usare, sulla provenienza dei lavoratori e su altre questioni. Poi ha aggiunto che era importante non perdere di vista lo sviluppo economico nel lungo periodo e non farsi distrarre da “momentanei cambiamenti d’umore nell’opinione pubblica” alimentati da rivalità politiche.

Il progetto è vitale per tutto il paese, secondo i suoi sostenitori. “La transizione ecologica è inevitabile e noi vogliamo farne parte”, ha dichiarato Máté Litkei, direttore dell’istituto sulle politiche per il clima di Budapest, definendo l’investimento cinese un importante contributo per allontanarsi dai combustibili fossili. Litkei ha detto che l’Ungheria deve poter disporre di batterie in quantità sufficiente prima del 2035, quando entrerà in vigore un divieto dell’Unione europea sui veicoli con motore a combustione.

La casa automobilistica tedesca Mercedes-Benz, che in Ungheria ha una grande fabbrica, ha accolto con favore il progetto della Catl, affermando di poter diventare “il primo e più importante cliente della produzione iniziale del nuovo impianto”. Quando a gennaio la Catl ha aperto una fabbrica di batterie molto più piccola, in Germania, non ha dovuto affrontare nessuna opposizione. Secondo gli ambientalisti ungheresi, invece, le auto elettriche rappresentano un significativo miglioramento rispetto ai veicoli che emettono anidride carbonica, ma non si possono ignorare i danni provocati dall’estrazione e dalla lavorazione del litio, del cobalto e di altri materiali pericolosi usati per realizzare le batterie.

Come se non bastasse, afferma Péter Ungár, copresidente del partito dei Verdi ungheresi, fabbriche come quella che dovrebbe sorgere a Mikepércs consumano enormi quantità d’acqua ed energia, e prevedono di cementificare terreni coltivabili. L’impianto della Catl occuperebbe un’area grande come quattrocento campi di calcio. “Le batterie non sono la nostra salvezza”, sostiene Ungár. “E neanche la Cina”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati