L’arrivo di una nuova pandemia non è una questione di “se”, ma di “quando”. Oggi il rischio è aggravato dalla crescita di popolazioni che vivono in zone densamente abitate e si spostano frequentemente. La crisi climatica, la deforestazione e un commercio degli animali con poche regole aumentano il potenziale epidemico delle malattie trasmesse dagli animali (o zoonosi), che rappresentano più del 70 per cento delle patologie infettive emerse negli ultimi decenni. Di recente il virus dell’influenza aviaria H5N1 ha infettato per la prima volta alcune mucche negli Stati Uniti e sono stati accertati due casi di trasmissione da bovino a umano.
È urgente preparare una risposta coordinata su scala globale, come messo in evidenza dal covid-19 quattro anni fa. All’epoca i vertici dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e i leader internazionali si erano impegnati a fare di meglio in futuro, visto che il virus e le sue varianti avevano evidenziato molte carenze, uccidendo sette milioni di persone nel mondo, accentuando le disuguaglianze e stravolgendo intere economie.
Nel dicembre 2021 l’Oms ha incaricato un gruppo di negoziatori di preparare un trattato vincolante per permettere a ogni paese di prevenire, individuare e tenere sotto controllo le epidemie, ma anche di garantire una distribuzione equa dei vaccini e delle cure. Purtroppo, dopo nove tornate di discussioni, non c’è ancora un’intesa. La speranza di raggiungerla è ancora viva ora che a Ginevra si riunisce la 77a assemblea mondiale della sanità. Il fallimento dei negoziati avviati finora mostra che l’urgenza scaturita dall’ultima pandemia è svanita e che gli interessi nazionali continuano a prevalere. Ma basta che un nuovo agente patogeno torni a minacciarci per ricordare che il mondo è un villaggio e che la salute è una sola. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati